I giovani finnici
White Death, formatisi in quel di Lappeenranta nel 2013, esordiscono con un album omonimo, che, pur non apportando alcuna rivoluzione nel mondo del black metal, risulta essere un lavoro riuscito nel suo bilanciamento, oserei dire da manuale, tra le partiture più estreme e tirate, con tanto di forsennati blast beats, e quelle, invece, più melodiche ed evocative in un gioco di cambi di atmosfere e di registri espressivi davvero indovinato e di sicura classe.
Gli otto brani che compongono il disco, suonati in maniera impeccabile e cantati con uno scream furioso perfettamente calato nel contesto, mostrano una notevole capacità in termini di songwriting e risultano efficaci sia quando il gruppo pesta sull'acceleratore, sia quando sono gli indovinati intrecci epici, vagamente medioevali e vicini a certi Alghazanth, ad essere protagonisti come accade in veri e propri piccoli gioielli come
"Warpath" o
"Cunt", le classiche canzoni semplici e "deliziose" che ti si ficcano in testa per non uscirne più, o la conclusiva
"White Death's Power", con tanto di inno da cantare a squarciagola, e comunque in generale in tutte le composizioni che, in un modo o nell'altro, uno spunto epicheggiante lo trovano sempre.
I
White Death, anche per merito di una produzione molto buona nel saper dare il giusto risalto a tutti gli strumenti, ci offrono, dunque, il classico esempio di disco estremo "perfetto": violenza, melodia, atmosfera, perizia esecutiva, convinzione ed attitudine sono tutte componenti di un puzzle riuscito di oscurità e nere fiamme che, ancora, sembrano avere energia per bruciare impetuose.
Certamente, come ho ricordato all'inizio, il gruppo non cambierà la storia del metallo nero, ma vista la tanta plastica che, quotidianamente, mi tocca ascoltare, un album come il loro debut è davvero manna che cade dal cielo o, meglio, che viene su dagli inferi!
Do, con piacere, il benvenuto ad un gruppo del quale, spero vivamente, sentiremo molto parlare nel futuro!
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