Copertina 8

Info

Anno di uscita:2017
Durata:55 min.
Etichetta:Frontiers Music

Tracklist

  1. THE ONLY ONE
  2. FOUR ELEVEN
  3. DRIVING INTO THE FUTURE
  4. GET ON TOP
  5. SEE IF SHE FLOATS
  6. SHE CAN'T GO HOME
  7. POINT OF VIEW
  8. ICE COLD SUNSHINE
  9. WHEN LOVE IS HERE
  10. SUNLIT SKY
  11. SOMEDAY SOMEHOW

Line up

  • Marcie Free: vocals
  • Bruce Gowdy: guitars
  • Guy Allison: keyboards
  • Larry Antonino: bass
  • Jay Schellen: drums

Voto medio utenti

Se la mia ormai un po’ ottenebrata memoria non m’inganna, fu proprio Bruce Gowdy ai tempi dell’uscita del loro esordio a definire lo stile degli Unruly Childhard progressive pop” e oggi a venticinque anni da quell’impareggiabile opera d'arte tale descrizione appare adatta anche per esplicitare il contenuto di questo nuovo “Can’t go home”.
Hard, perché il suono è innervato dalla grinta delle chitarre e dalle pulsioni ritmiche, prog perché non si “accontenta” di allinearsi alla grande tradizione del rock melodico e alla storia del gruppo (e potrebbe farlo tranquillamente …) e pop per quel gusto “radiofonico” fresco e vaporoso, capace altresì di non scadere nel manierismo e nella stucchevolezza.
Il ritorno del Figlio Indisciplinato conserva il suo nobile marchio e non per questo appare “nostalgico”, e un po’ com’era già accaduto con “Worlds collide”, ci riconsegna un gruppo artisticamente molto “maturo”, dotato di una radiosa capacità di scrittura e di non comuni dotazioni espressive, concentrate in un dinamico e avvolgente miscuglio sonoro, ben lontano dalla banalità di troppa musica contemporanea.
Un disco che, come si dice in gergo, “cresce con gli ascolti” e che dopo una reiterata applicazione decido di collocare, in un’ipotetica classifica di merito, appena dietro il suddetto albo della reunion, il quale però godeva anche del cosiddetto “effetto sorpresa”.
Arrivati a questo punto, non ci si può sottrarre dal commentare la prova di chi è spesso ancora oggi ricordato quasi esclusivamente per aver marchiato a fuoco un capolavoro come “Loud & clear” dei Signal … ebbene Marcie Free non sarà più invidiata per la laringe esplosiva di “quell’altra vita”, ma merita di essere comunque ammirata per le sue spiccate virtù interpretative, accresciute negli anni e oggi davvero encomiabili.
E allora via ad alcune suggestioni d’ascolto, partendo da brani più “facili” come “The only one” (a cui manca solo un pizzico di grip nel refrain), la vagamente Whitesnake-ianaFour eleven”, “Get on top” che invece evoca Dokken e Winger, la sfarzosa “Point of view” (un misto di World Trade e Def Leppard), le accattivanti “When love is here” e “Someday somehow”, e lo slowSee if she floats”, dalla presa emotiva istantanea e coinvolgente.
Tra i momenti che richiedono, forse, un pizzico di maggiore attenzione, inserisco l’AOR interstellare di “Driving into the future” e “Ice cold sunshine”, la drammatica catarsi sentimentale di “She can’t go home” (con qualcosa di CSN & Y negli impasti vocali!) e la sofisticata “Sunlit sky”, tra Styx e Kansas.
L’ultima annotazione la riservo alla produzione, a quanto pare criticata da ampie frange della “comunità melodica” … beh, forse non siamo all’altezza della maestria di Beau Hill e Ted Jensen o dei mezzi dell’Interscope, e tuttavia l’album “suona” più che dignitosamente, senza svilire oltremodo il lavoro di una band che mantiene intatta tutta la sua scintillante integrità artistica.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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