Continua la serie di "Alle falde del Kilimangiaro metal": dopo i sudafricani Agro è il turno dei thrashers australiani Dark Order ed il loro disco "The Violence Continuum". Innanzitutto a colpire è l'ambientazione fantascientifica della copertina, dal momento che il thrash è sempre stato un genere fortemente legato all'attualità e a tematiche sociali.
Il disco è introdotto da una specie di dialogo ambientato su una navicella spaziale, per poi partire con la seguente "War Has Begun" che scopre immediatamente tutte le carte del gruppo: la base della musica dei Dark Order è profondamente e solidamente Slayer, su cui si costruiscono riff veloci e grezzi in cui si innestano assoli malati e cacofonici, come zio Tom & Co. ci hanno sempre insegnato. Il ritornello poi richiama subito alla mente "War Ensemble", come anche la voce di Raul Ignacio Alvarez che si riallaccia spesso e volentieri allo stile di Araya, pur con le dovute proporzioni e distinzioni del caso. Spiazzante l'uso sporadico di vocals growl, che all'attacco del primo pezzo colpiscono duro, accompagnate da una batteria furiosa. I Dark Order ci mettono anche del loro, rallentando spesso i ritmi, inserendo arpeggi e dilatando le canzoni che in alcuni casi raggiungono anche gli otto minuti di durata, cosa che comunque si rivela deleteria più che altro, rendendo i pezzi troppo prolissi e non facilitando l'ascolto del disco. E' il caso di "Slave Of A Nameless God", che parte bene con un riff cadenzato in pieno stile Slayer "Season In The Abyss", cupo, con un arpeggio iniziale veramente azzeccato e atmosferico, per poi perdersi in una sorta di autocompiacimento, trascinandosi troppo lungamente e cercando una varietà nelle strutture che però appare poco ispirata e francamente poco necessaria. La voce appare fuori luogo nei frangenti in cui cerca di seguire linee melodiche pulite, risultando stonata e poco azzeccata, mentre nei tratti più feroci si cambia decisamente registro. Migliore la successiva "En Sabah Nur", più compatta ed asciugata di ogni orpello, un vero assalto slayeriano interrotto solo da un bell'arpeggio di chitarra dove anche Alvarez si trova maggiormente a suo agio. "The Terran Empire" invece è uno degli episodi meglio riusciti del disco, grazie alla sua semplicità e all'impatto diretto, anche se la voce in certi punti fatica a convincere e gli Slayer sono sempre presenti.
La trilogia posta in chiusura dell'album, omaggio a "Moby Dick", è introdotta da una bella overture di chitarra classica che si intreccia con un assolo finalmente melodico e ponderato, cedendo il passo a "Blod Of The Sea" che accantona gli Slayer puntando su un appeal epico e solenne, pur rimanendo su ritmiche thrash. La conclusiva "Once More Unto The Breach" riesce a coniugare una strofa palesemente ispirata dal gruppo di Araya con un ritornello ancora una volta anthemico e battagliero, interrotta a metà da una parte recitata per poi ripartire ancora a velocità folli. Peccato per la prestazione vocale che pesa come un macigno sulla resa globale delle canzoni.
La produzione non è granchè: sono penalizzate in primo luogo le chitarre, opache, poco graffianti, secche, ma anche la batteria, che andrebbe tenuta forse più in primo piano. Il basso invece è udibile distintamente solamente all'inizio di "S.J.N." con un bel riff.
Trattandosi di un dual disc CD/DVD, mi sembra il caso di spendere due parole anche sui contenuti video, che si limitano ai videoclip di due delle canzoni dell'album, "The Terrain Empire" e "Slaves Of A Nameless God", uno slideshow di immagini relative alla band e a una sorta di "paperissima" di 30 secondi in cui il chitarrista/cantante si impappina durante le registrazione di un video. Insomma, il lato DVD è tutt'altro che imprescindibile, contenendo materiale per nulla interessante. Magari una piccola biografia, qualche spezzone live o un semplice made off dell'album avrebbero reso più appetibili gli extras contenuti nel lato DVD.
Ci sono buoni spunti in questo "The Violence Continuum", anche se la band dovrebbe maggiormente puntare ad eliminare l'ombra degli Slayer che incombe minacciosa per quasi tutta la durata del disco e che rappresenta sicuramente uno dei limiti dell'album. Andrebbe posta maggiore attenzione anche in fase compositiva, con un occhio di riguardo ai troppi cambi e variazioni all'interno dei pezzi, i quali molto spesso perdono mordente a causa di una fluidità troppo spesso mancante. Se anche la voce non convince troppo, un punto a favore dei Dark Order sono sicuramente gli arpeggi, veramente da brividi. In fase di votazione mi limito alla sufficienza, dal momento che troppi sono i difetti che non permettono al disco di risultare interessante ed intrigante, anche se va sottolineato come non tutto sia da buttare, ad esempio la trilogia finale, che risolleva le sorti del disco che altrimenti avrebbe rischiato la bocciatura.
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