Finalmente, grazie alla
Hammerheart Recods, dopo 13 anni(!!) di carriera i cileni di Valparaiso
Mourners Lament riescono a pubblicare il loro primo full lenght, questo
"We all be given" di cui parleremo a breve.
Prima di oggi le loro tracce si limitavano ad un EP risalente al 2008 e passato perlopiù sotto silenzio nei consueti circuiti underground.
La band deve il suo nome alle parole contenute nel brano "Harvest" degli Opeth in cui Åkerfeldt dice
“mourner’s lament but it is me who is the martyr" ma le attinenze con il gruppo svedese terminano qui.
Il sound del combo capitanato dal vocalist
Cristian Ibañez è piuttosto influenzato dalla sacra trinità del doom anglosassone: My dying Bride-Paradise Lost ed Anathema (dei primi anni '90) ovviamente senza toccare i livelli di eccellenza di questi mostri sacri.
Azzardo anche un parallelismo con i nostri Novembre che però li sopravanzano grandemente in quanto a capacità di toccare le corde più profonde dell'animo.
I 6 brani che compongono questo
"We all be given" sono certamente rispondenti ai canoni del doom con i loro ritmi dilatati, i passaggi melodici che si assestano su tempi piuttosto lenti, le partiture vocali ridotte e le atmosfere rarefatte e cupe, ma si susseguono senza un sussulto nè un picco di eccellenza.
"Piatto" direi, se dovessi trovare un aggettivo che riassume bene questo lavoro, ogni track inizia con una parte acustica o comunque strumentale, prosegue accelerando sino ad un mid-tempo moderatemente aggressivo, lascia spazio alla voce ed a tante (troppe?) strofe parlate e riprende il tema portante utilizzando molteplici variazioni armoniche.
Passano via via così l'opener
"As solemn pain profaned", la cupa
"Slumbers", la strumentale
"Omnipresence": semplicemente scorrono come un fiume placido e senza increspature che però offre ben poche emozioni rispetto ad un ribollente torrente di montagna.
Unica meritevole eccezione la conclusiva
"We all be given" che -sebbene duri ben 13 minuti- offre finalmente dei tentativi di variare la proposta con i suoi ripetuti cambi di tempo e di struttura costruttiva alternando passaggi death veramente belli ad atmosfere più sognanti e malinconiche.
Troppo poco comunque per meritare più di una sufficienza stiracchiata: anche se solitamente mi piace dare fiducia a band poco note, trovo che purtroppo in questo caso rifugiarsi (per chi ama il doom/death) nei classici sia forse più appagante.
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