"Terra Damnata", quinto lavoro in studio (terzo per
Season of Mist) per gli americani, del Colorado,
Nightbringer, è il disco che il gruppo avrebbe dovuto scrivere da sempre.
Certamente tra gli esponenti più interessanti del moderno black metal, nelle uscite precedenti i Nostri, a mio parere, si erano sempre "persi" in troppe sperimentazioni e troppi arzigogoli che perdevano di vista il risultato finale, sebbene la qualità complessiva rimanesse, in ogni caso, elevata.
Adesso, invece e per fortuna, il leader
Naas Alcameth opta per soluzioni più dirette e meno cervellotiche riuscendo a scrivere una manciata di brani semplicemente distruttivi che danno vita, parola paradossale quest'ultima perchè qui è tutto morte, ad un album di black metal nero come la notte più nera e insidioso come la mefitica puzza di zolfo.
Le strutture sonore, sebbene la forma canzone sia adesso assoluta protagonista, restano comunque variamente stratificate e ricche di intrecci "melodici" ed atonali, ma vanno dirette al punto, non fanno prigionieri, sorrette come sono da un riffing lancinante nelle sue infernali dissonanze e ci annichiliscono con un esoterismo alieno fatto di continue esplosioni strumentali e malefici interludi dal sapore ritualistico fusi in una colata di puro inferno e, idealmente, suddivisi in una prima parte dell'album più veloce e deflagrante ed una seconda maggiormente attenta all'atmosfera.
I
Nightbringer, da molti, sono considerati sopravvalutati, da tanti altri sono visti come i nuovi signori, per lo meno sul suolo americano, del nero verbo:
"Terra Damnata", dal mio punto di vista, è l'album in grado di mettere tutti d'accordo, è il punto di svolta di una carriera lunga già vent'anni, è un vortice di ortodossia oscura e di atmosfere religiose che inghiottirà sia i nostalgici del black metal che fu, sia gli adoratori "moderni" del male, sotto le insegne della malvagità dell'estremo in musica.
Sarà difficile, nel 2017, trovare un lavoro migliore di questo in quanto a violenza ed oscurità: non credo sia poco.
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