Ho parlato l'ultima volta dei
Logic of Denial un paio di anni fa, in occasione dell'uscita del mini cd
Hymns of Acrimony, un dischetto che faceva intravedere importanti cambiamenti nel death metal della band ed oggi possiamo finalmente godere dei frutti (del male) di questa trasformazione, ascoltando il nuovo full lenght intitolato
Aftermath.
Metto subito le mani avanti specificando che, se
Atonement (album del 2013) era un ottimo disco di death metal nella sua accezione classica, soprattutto americana (Hate Eternal, Nile, Suffocation) e adatto ad un pubblico "vasto" (certo non mamme e bambini), il nuovo lavoro di cui vi parlo oggi è qualcosa di molto più estremo, classificabile come brutal technical death, nero e intricato. Qui rabbia, oppressione, dolore la fanno da padrone attraverso una serie infinita di riff incendiari; per capirci, la prima sensazione ascoltandolo alla guida è stata quella di entrare in una tempesta di vetri. A scanso di equivoci specifico subito che la dicitura "technical" sopra menzionata non è stata tirata in ballo a causa di sbrodolatine di chitarra in sweep oppure per onanismo da strumento, ma è dovuta alla struttura intricata delle canzoni e al perfetto incastro degli elaborati riff, cambi di tempo e perizia esecutiva. È bene ricordarlo visto che nella suddetta categoria ormai vengono classificati obbrobri come Ring of Saturn, Brain Drill o simili. Nel frattempo, nella band è entrato in pianta stabile un altro chitarrista,
Marco Carboni (componente anche dai Grumo ed altre realtà estreme nazionali) che va ad affiancare il mastermind
Alessandro così da poter inspessire ulteriormente il sound, soprattutto in sede live dove gli elaborati pezzi dei Nostri richiedono attenzione e precisione.
Le 12 canzoni che compongono
Aftermath sono un viaggio, un'esplorazione della mente umana sull'elaborazione del lutto (questo il concept del disco) con liriche che ci vengono sbattute in faccia con un profondo growl gutturale, per cui vi consiglio di leggerle a parte per poter apprezzare i diversi stati d'animo. Un growl profondo dicevo, quello di
Mattia, che prende energie dalle sue viscere e ci scaraventa addosso un'onda di rabbia, facendo un passo avanti notevole rispetto al cantato sul precedente album, diventando cantore di sofferenza su un terreno nero come la morte. Il disco ha un ritmo serrato con una successione ed una evoluzione di riff continua, concedendo pochissimo spazio per fiatare. Defeated Sanity, Disgorge, Disentomb ed un pizzico di dissonanze in stie Gorguts sono le influenze percepibili nell'ascolto e, nonostante la miriade di note profuse, non è per nulla difficile seguire gli strumenti grazie ad un'adeguata registrazione. Quello che è più difficile è entrare in questo disco, capirlo, per cui sono necessari diversi ascolti al fine di captare tutti gli elaborati passaggi. Intelligentemente la band ha mantenuto la presenza di diversi assoli di chitarra così da poterci permettere di prendere un rapido respiro di tanto in tanto, per poi farci proseguire nell'ascolto. A dar spessore alle sette corde sempre in movimento, va rimarcato l'egregio lavoro al basso di
Tavernari (già con Unbirth e Human Improvement Process) il cui operato è nettamente percepibile ma mai invadente, optando per un suono rotondo e non troppo secco. Purtroppo in formazione è ancora assente un vero batterista, anche se sfido chiunque ad accorgersi della drum machine utilizzata, i cui suoni sono stati scelti e regolati in modo maniacale. Se la bontà di canzoni come
Larvae of Eden ed
Immaculate è assodata (due pezzi già presenti nel succitato mini cd) il resto dei componimenti è assolutamente all'altezza con menzione particolare per la furia chirurgica di
Miroir e
The Decaying Drama, brano leggermente atipico che, nei suoi 7,30 minuti di durata, lascia spazio a rallentamenti dal sapore doom e arpeggi malinconici, sempre calati in un contesto oppressivo e brutale. L'unico appunto che mi sentirei di fare sul disco riguarda la staticità della voce; forse qualche variazione nel growl, qualche inserto scream, una interpretazione insomma "più emotiva" avrebbe dato ulteriore slancio alla proposta caratterizzandola maggiormente. Rimane un'opinione personale che non inficia l'ottimo lavoro svolto.
Se siete amanti dell'estremismo in musica non potete perdere
Aftermath, un disco brutal death nudo e crudo ma curatissimo, con una caterva di riff assassini ma soprattutto con una vera rabbia sprigionata, elemento non scontato in un genere sempre più asettico.
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