Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2005
Durata:60 min.
Etichetta:Einheit Produktionen
Distribuzione:Masterpiece

Tracklist

  1. GÖTTERDÄMMERUNG
  2. A NEW MESSIAH
  3. BLUTSBRUDER
  4. BURY THE LAMBS OF CHRIST
  5. SETTING SAILS
  6. RIDING THE DRAKKAR
  7. CHRISTENFEIND
  8. FELD DER EHRE
  9. ENTERING THE HALLS OF ODHINN
  10. MY WAY TO ASGAARD
  11. DER EID

Line up

  • Zoran: guitars
  • Surthur: drums
  • Meldric: guitars
  • Hrym: synths, keyboards
  • Drahco: bass, guitars
  • Zagan: vocals, guitars, violin, mandolin

Voto medio utenti

Stando a quanto sono riuscito a capire dalla biografia del gruppo, i Black Messiah dopo una pausa di riflessione durata parecchi anni sono passati dal black melodico della precedente release ad un viking metal piuttosto sporco nella realizzazione, ma chiaro nelle intenzioni. E' già evidente a partire dalla copertina, dai titoli delle canzoni, da una lettura superficiale dei testi quali siano i temi trattati dal gruppo tedesco: lo spirito pagano e battagliero degli antichi guerrieri nordici, la ribellione contro l'avanzata prepotente del cristianesimo, la diffusione di tutti quei valori basati sulla lealtà e l'amicizia che resero grande quella civilità. Musicalmente i primissimi pezzi mi hanno fatto pensare ad un riuscitissimo incrocio tra riff alla Ulver e quelle efficaci sovrapposizioni melodiche che resero tanto amato il progetto Windir, senza contare che anche la prestazione vocale ricorda molto da vicino quella di Garm del periodo Bergtatt. Esaltante a questo proposito "Blutsbruder", cantata nella durissima lingua madre... un concentrato di epicità carica di tensione fino allo scioglimento finale in cui a sorpesa fa la sua apparizione uno splendido mandolino, assolutamente per nulla fuori luogo. Questo è senza alcun dubbio l'apice di tutto il lavoro, pur senza trascurare i pezzi successivi, tutti di pregevole fattura. Influenze di tutti i mostri sacri del genere viking sono presenti qua e là, dai Thyrfing ai Mithotyn. Ma il discorso è portato avanti senza far pesare il fatto che si tratti di un album fortemente derivativo, più incentrato sul tiro dei singoli pezzi che sulla proposta musicale in toto. Nonostante l'ottima prova vocale di Zagan (che oltre a suonare il mandolino, si rende più volte autore di splendidi stacchetti con il violino), la sua prestazione sarebbe potuta essere leggermente più varia... come si sarebbe potuto lavorare di più anche sulla stesura dei testi, sinceramente un pò banalotti nel loro attacco incondizionato al cristianesimo. Ma avendo mutato pelle così radicalmente, per ora non si può che essere soddisfatti del risultato.
Recensione a cura di Alessandro 'Ripe' Riperi

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