Cosa ca … spita è successo ai
Rebellious Spirit? Li avevo lasciati (ai tempi di “
Gamble shot”) spensierati e un po’ acerbi epigoni del
pop-metal ottantiano e li ritrovo con questo nuovo “
New horizons” trasformati in un manipolo di foschi e irosi r
ockers alternativi, impegnati nella conquista dello stesso pubblico che osanna gente come Placebo, Disturbed, Linkin Park, 30 Seconds To Mars e Avenged Sevenfold.
Forse la conoscenza del loro secondo albo “
Obsession”, che invece mi è completamente “sfuggito”, avrebbe potuto fornire qualche indicazione esplicativa di tale metamorfosi, ma seppur senza padroneggiare nel dettaglio i passi dell’intero processo “evolutivo” non posso proprio nascondere un certo disappunto per una scelta artistica che olezza pesantemente di opportunismo.
Scacciando la delusione per aver perso un potenziale protagonista di un genere che avrebbe bisogno di “forze fresche” e sforzandosi di allontanare ogni forma di pregiudizio, bisogna ammettere che i tedeschi sembrano abbastanza a loro agio con le “nuove” sonorità, dimostrando di possedere una notevole capacità “camaleontica”.
Il problema è che nell’insidioso e competitivo terreno artistico selezionato dai nostri, per “esplodere” veramente bisogna avere canzoni “perfette”, allo stesso tempo ammiccanti e cariche di tensione, capaci di blandire e attrarre istantaneamente una platea che, tra l’altro, spesso decreta il “successo” di una
band attraverso valutazioni di difficile decifrazione.
I
Rebellious Spirit, escludendo ogni enigmatico aspetto di “contorno”, non hanno ancora trovato il “segreto” per costruire un vero
hit e, così, nonostante la produzione dinamica e moderna, la tecnica non banale e una considerevole disinvoltura interpretativa, finiscono per “galleggiare” sulla superficie dei sensi, non riuscendo praticamente mai a colpire nel profondo.
Ciò non toglie i dovuti meriti ad un programma comunque non particolarmente riprovevole, pieno di riferimenti abbastanza evidenti e tuttavia gestiti con una certa scaltrezza, in equilibrio su quel pericoloso crinale che divide l’ispirazione dall’imitazione (forse la sola “
Fuck” appare un po’ troppo sfacciata, tanto che a
David Draiman fischieranno di sicuro le orecchie …).
“
Devil in me”, “
Wish for”, “
Am I right”, “
Enemy” e “
Up!” hanno discreti numeri per fare bene nella scena
mainstream e anche la potente “
The core” non appare eccessivamente “forzata”, ma al momento a mancare è innanzi tutto quell’intraprendenza che me li aveva fatti apprezzare ai tempi dell’esordio.
Un cambiamento non ancora del tutto “metabolizzato”, dunque, per un gruppo che, qualunque siano le sue velleità espressive, non dovrebbe accontentarsi di seguire sentieri già ampiamente tracciati e battuti.
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