Da un lato ero seriamente preoccupato, vista la mediocrità di “
The stories we could tell”.
Dall’altro era inevitabile nutrire le mie irriducibili speranze di appassionato, confidando nelle formidabili qualità di una formazione che, senza andare troppo lontano nel tempo, era stata capace di sfornare un lavoro enorme come “
What if ...”.
E allora diciamo che l’ascolto di “
Defying gravity”, l’atteso ritorno discografico dei
Mr. Big, riesce ad alimentare in qualche modo entrambe le opposte sensazioni.
L’albo ostenta un valore artistico leggermente superiore al suo predecessore, ma purtroppo non riporta la
band a quel ruolo di protagonista che le compete.
Realizzato i soli sei giorni sotto la direzione del celebre
Kevin Elson (già dietro al
mixer in “
Mr. Big”, “
Lean into it” e “
Bump ahead”), il disco non manifesta che sporadici brandelli di quell’energia eclettica e avvincente che aveva ingolosito i sostenitori dell’
hard-rock blues fin dalla prima apparizione sul globo terracqueo di questo funambolico
supergruppo.
Tecnicamente sempre superlativi (ottima anche la prova di
Matt Starr, coadiutore di lusso dello sfortunato
Pat Torpey, affetto dal morbo di Parkinson), i
Mr. Big lasciano troppo spesso che siano il “mestiere” e la
routine a prendere il sopravvento e, complice pure una resa sonora non particolarmente nitida, trasmettono all’astante un’impressione di “opacità” espressiva abbastanza diffusa.
Quando però gli americani ritrovano la migliore “comunione d’intenti” e sfruttano il loro mastodontico potenziale con destrezza, la concorrenza può cominciare ad allarmarsi … l’accattivante tocco esotico (con contorni quasi
prog …) della
title-track, la carica
supersonica di "
Mean to me”, l’ardore
soul di "
Nothing bad (About feeling good)” (con un
Martin sugli scudi, lontano dall’esplosività “giovanile” e comunque sempre eccellente sotto il profilo comunicativo) e l’enfasi (appena uno “zinzino”
kitsch) di “
Forever and back” sono frammenti in note di notevole impatto emozionale e sanciscono la sussistenza di una vena creativo-interpretativa non ancora esaurita.
Altrove troverete circostanze piacevoli (il
groove di “
Open your eyes” e “
Everybody needs a little trouble”, la gradevolezza elettro-acustica di “
Damn I’m in love again”, il “tiro”, un po’ alla Racer X, di “
1992”) e qualche momento più interlocutorio e artefatto (“
Nothing at all” mi ha addirittura fatto venire in mente qualcosa dei Faith No More …), realizzato con un certo buongusto e tuttavia non all’altezza del nobile
pedigree dei nostri.
I
Mr. Big forniscono alcuni segnali di ripresa e ciononostante non riescono a convincerci del tutto che la “crisi” sia stata superata … con un pizzico di fiducia supplementare, attendiamo con ansia “vera” il momento in cui torneranno nel
gotha del
Rock n’ Roll.
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