Ne è passata di acqua sotto i ponti.
Ricordo una giovane e volenterosa band di Brindisi che mi spediva i suoi demo, magari un po' rozzi e certamente non registrati come si può fare oggi, ma sempre migliori, volta dopo volta, sempre più convincenti e soprattutto con una determinazione, una voglia che raramente ho riscontrato.
Correvano i primissimi anni 2000 e conobbi la band in una sfortunata (per loro) circostanza, quando in occasione del
Summer Day in Hell del 2003 a Bologna (chi si ricorda che la mascotte/logo di quel festival era il teschio cornuto di
EUTK.net?) seppur sulla carta fossero gli opener della manifestazione non riuscirono a suonare per problemi organizzativi... Ricordo perfettamente la loro delusione dipinta sui volti durante il meet 'n' greet organizzato al volo per cercare di rimediare allo spiacevole contrattempo.
Certo, di quella formazione non è rimasto nessuno a parte il leader
Alessandro Castelli, ma la mestizia di quei momenti senza dubbio si è tramutata in orgoglio, in consapevolezza, in una naturale superiorità.
A prescindere dalla già riuscitissima carriera che gli
Adimiron sono riusciti a compiere fin qui, passando peraltro tra rispettabili label come
Karmageddon,
Alkemist e
Scarlet, questo "
Et Liber Eris" sancisce non solo il passaggio ad una etichetta discografica eccelsa come la
Indie Recordings, con un roster sempre di elevatissima qualità a prescindere dal genere proposto, ma anche la completa maturazione di una band che sforna a tutt'oggi il proprio capolavoro, senza dubbio l'album più maturo e completo della propria carriera.
E di dubbi, solo personalissimi - ci mancherebbe altro -, ce n'erano parecchi: la solita esagerata consapevolezza che sfocia nell'autocompiacimento, nello specchiarsi, quante validissime formazioni ho visto bruciarsi in questo modo...
Che sciocco sono stato. Non ho pensato a quegli occhi delusi ma orgogliosi del Summer Day, di tutti i progressi costanti demo dopo demo, disco dopo disco, sempre con la testa completamente incentrata sul fare musica, sul realizzare e non sul realizzarsi, sulla bellezza delle loro composizioni e non delle loro persone.
"
Et Liber Eris" è un disco progressivo sì, che abbraccia numerosi stili ed idee, che si muove in un contesto sempre estremo ma libero di spaziare in totale autarchia fra le componenti che più aggradano gli Adimiron, con l'incredibile abilità di miscelarle tra loro in una continua e fluida evoluzione, senza strappi o forzature, unendo sonorità così distanti tra loro con una nonchalance sorprendente.
Echi di
Opeth si fondono con l'eleganza degli
Evergrey, ed ancora si scorgono sprazzi di
Alice in Chains prima che sfuriate alla
Death ci conquistino sin dal primo ascolto.
La line up, ancora una volta rivoluzionata a parte lo stesso Castelli e l'indiavolato
Federico Maragoni alla batteria, vede l'ingresso di
Cecilia Nappo al basso, completando una sezione ritmica strabiliante per dinamismo ed inventiva, e
Sami El Kadi alla voce, e proprio questo elemento è stato fondamentale per il risultato di "Et Liber Eris", tanto profondo e violento nelle parti growl quanto intenso e sofferto in quelle pulite, davvero curate oltre ogni dettaglio, merito anche di una produzione stellare che restituisce dei suoni brillanti, potentissimi ed incisivi, riscontrabili unicamente nelle produzioni di alto budget.
I miei timori di trovare una band ormai totalmente trasformata, non voglio dire rinnegante il passato ma libera da ogni retaggio estremo, svaniscono effimeri dopo pochi secondi dall'inizio di "
The Sentinel", opener perfetta, quasi maestosa nel proprio incedere, in un turbinio di riff, di breaks, di assoli, ricordandomi nella parte centrale sin dal primo ascolto la vecchia "
The Philosopher", posta a chiusura di "Individual Thought Patterns" dei
Death, così come l'angosciante e nervosa "
Zero-Sum Game" ha risvegliato in me qualcosa dei vecchi
Misery Loves Company.
Tuttavia non c'è una sezione del disco da elogiare rispetto ad un'altra, "Et Liber Eris" si muove nella sua complessità (ed attenzione, è un lavoro complesso, nell'accezione positiva del termine) e proprio nel suo insieme trova forma e sostanza preziose ed uniche per carisma, personalità ed impatto. Tuttavia impossibile non citare "
The Coldwalker", quasi ipnotica nel suo procedere onirico, fino alla dimessa esplosione di una rassegnata tristezza che suggella un chorus indimenticabile.
Il fatto che questo album mi abbia fatto compagnia nei due mesi e mezzo più brutti della mia vita, quando di solito ci si rifugia nella musica che si conosce a menadito o che ci riporta a tempi lontani e spensierati, accresceva la mia sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di superiore.
L'ascoltarlo ripetutamente ancora oggi, ora che tutto è terminato, mi da' la certezza di aver avuto ragione: quegli occhi già dicevano tutto tanti, tanti anni fa.