Conosciuti in occasione dell'uscita del precedente "
Beyond The Martyrs", gli
Argus ci hanno messo pochissimo per entrare tra le mie formazioni preferite, vuoi per quel loro suono "antico", per la bravura di un signor singer come
Butch, per il costante lavoro di cesellatura del basso di
Campbell (davvero un mostro), ma soprattutto per la capacità di riuscire a costruire canzoni dalla struttura non lineare ma nemmeno complessa, dense di epicità, venate di doom e aggressive dove serve.
Il nuovo "
From Fields of Fire" si presenta con una bella copertina (sempre opera di
Brad Moore) senza novità sostanziali, senza rivoluzioni ma... con qualcosa di diverso.
Provo a spiegarmi.
Di album in album, la band ha perso sempre più quell'impronta doom che caratterizzava soprattutto i primi due lavori, spostandosi verso un heavy metal di stampo classico, epico e, mai come oggi, basato sulle chitarre. Le sei corde sono le protagoniste di questo disco, il loro riffing è sempre in primo piano, i loro arpeggi portano nelle canzoni un'atmosfera surreale, persa nel tempo e gli assoli... gli assoli sono tanti e curatissimi, da leccarsi i baffi. Il modo di comporre degli Argus te li fa riconoscere subito, hanno dei clichè, dei modi di costruire ritmiche e linee melodiche che se li senti alla cieca non puoi sbagliare, sono loro. Caratteristica davvero importante in un ambito musicale in cui, il 90% delle volte basta saccheggiare Maiden e Priest per attirare l'attenzione di qualcuno.
Ma torniamo al disco.
Dicevo che è il loro album dall'impronta più chitarristica ed anche il cantato di
Butch viene spesso ridimensionato, quasi messo in secondo piano in favore di porzioni strumentali prolungate. Poi, quando sale in cattedra il singer americano son sempre brividi, beninteso, (c'è giusto qualche ooooh oh oooooh di troppo) ma stavolta la scena non è tutta per lui, se non su "
No Right to Grieve" dove si rimane estasiati dal timbro e dalla potenza vocale di quest'uomo. Potrei dilungarmi ore a parlare di questo album, dirvi che ha un intro ed una outro che vi inseriscono nel disco, dirvi che c'è un pezzo da oltre dieci minuti ("
Infinite Lives, Infinite Doors"), che c'è un bellissimo brano che vi si stamperà in testa ("
Your Are The Curse"), dirvi che c'è un nuovo chitarrista (
Dave Watson) che ha mixato anche il disco facendo un lavoro egregio, bla bla bla... ma è meglio che sia la musica a parlare.
È davvero un piacere ascoltare "
From Fields of Fire", un disco con suoni perfettamente bilanciati, veri ed una tracklist varia che sa passare dal momento più intimista, romantico a quello più potente. Le stesse canzoni, al loro interno, alternano momenti acustici e lenti che si evolvono in squarci elettrici galoppanti, sempre fieri e con una leggera nota malinconica. Le sfumature epic doom rimaste nel loro suono sono quasi sempre offerte dal cantato mentre la musica, come dicevo poco fa, ha senza dubbio un'impronta più heavy.
Forse "
From Fields of Fire" è il loro album più potente, il più completo ma questo solo il tempo potrà rivelarcelo, per ora siamo al cospetto di una delle 10 migliori uscite di quest'anno. Senza alcun dubbio.