Che il putrescente sangue del
death metal scorresse impetuoso nelle vene dei
Temple of Void lo si era capito sin dai tempi del
debut, quel “
Of Terror and the Supernatural” che già lasciava intravvedere notevole potenziale. Col nuovo “
Lords of Death” i Nostri, pur non assurgendo (ancora?) alle vette suggerite dal pretenzioso titolo, si candidano quantomeno al ruolo di stelle di prima grandezza del genere di riferimento.
Per raggiungere l’obiettivo, la compagine proveniente da
Detroit ha deciso di alleggerire la componente
doom, non abbandonata del tutto eppur ridimensionata da un’intelaiatura sonora che punta piuttosto su impatto e immediatezza. Esemplari, in tal senso, la durata sempre “sotto controllo” dei brani (nonché del
platter stesso: appena 36 minuti) e l’asciuttezza delle partiture di chitarra, spesso basate su riff in grado di combinare malevolenza e possanza rimanendo nell'alveo della tradizione -individuerei negli
Asphix il primo riferimento stilistico-.
Tuttavia, non si respira affatto aria stagnante nei solchi del disco; merito di una produzione che glorifica i numerosi pregi della band con una sezione ritmica abrasiva e chitarre davvero intimidenti. A scacciare il pernicioso demone della routine interviene anche il
growling di
Mike Erdody, ai vertici della scena per corposità e profondità.
Da ultimo, forniscono a “
Lords of Death” una gradita stilla di varietà –e, chissà, un possibile input evolutivo da esplorare negli anni a venire- pregevoli velleità melodiche. Penso agli arpeggi di “
The Charnel Unearthing” e “
An Ominous Journey”, alla mistica porzione centrale di “
A Watery Internment” ma soprattutto a “
Graven Desire”, composizione multiforme in cui atmosfere proprie del
gothic britannico convivono col feeling disperato del
funeral doom e confluiscono in un finale marchiato a fuoco da inattese
clean vocals.
Niente male davvero.
Ad ogni modo, anche laddove i
Temple of Void decidono di crogiolarsi nell’ortodossia
death metal, come avviene in “
Wretched Banquet” o “
The Gift”, ottengono risultati ottimi… o quasi, posto che, almeno per quanto mi riguarda, qualche lieve inciampo in sede di scrittura (penso al fiacco incipit di “
The Hidden Fiend” o ad alcune banalità presenti in “
Deceiver in the Shadows”) impedisce al
full di approdare nei
top album.
L’impressione, in ogni caso, è che il meglio debba ancora venire. Ma dal momento che, come scrisse il savio
Lorenzo de' Medici, di doman non c'è certezza, io v’invito caldamente a dare sin d’ora ai
Temple of Void la chance che meritano.
Oppure fate come preferite, ma non dite che non vi avevamo avvertiti...