Troppo spesso, durante la lunga e travagliata parabola del
rock duro, si è officiata con enfatico clamore la sua prematura “dipartita”, decretando l’inadeguatezza dei suoi aspetti più “conservatori” e inneggiando a nuove forme di “
post-qualcosa”, destinate a spazzare via ogni barlume di “classicità” in nome di un’annientatrice iconoclastia sonora.
Come ben sappiamo, si è sempre trattato di litanie mendaci e retoriche, ma bisogna ammettere che la nascita di fenomeni d’ibridazione tra i generi ha effettivamente rivitalizzato e allargato le frontiere del “
Grande Vecchio”, capace, in parallelo, di continuare a produrre ottimi esempi di quella tanto vituperata tradizione.
Gli anni novanta sono stati nodali per la diffusione di tale movimento “eversivo” e se ancora oggi, in pieno
revival settanta/ottantiano, ci sono gruppi che si rifanno, come questi
Neo Noire, a protagonisti del
post-metal e del
grunge del calibro di Jane’s Addiction, Smashing Pumpkins e Warrior Soul, è evidente che quello spirito trasgressivo ha lasciato segni profondi, confortando chi, come il sottoscritto, ritiene che il periodo meno amato dai “metallari” più irriducibili sia stato in grado di produrre in realtà tantissima buona musica.
“
Element” è una sorta di celebrazione di quelle esperienze artistiche e, nonostante gli evidenti numi tutelari, l’opera suona fresca e coinvolgente, rievocando in maniera nitida l’entusiasmo con cui i
rockofili privi di “paraorecchi” accolsero “
Ritual de lo habitual”, “
Siamese dream” o “
Drugs, God and the new republic”.
Capitanato da
Thomas Baumgartner (ex-GurD, Erotic Jesus, Undergod) e
Frederyk Rotter (Zatokrev, The Leaving, Crown) e sostenuto da una sezione ritmica abile e piuttosto esperta, il combo svizzero esibisce una notevole classe nell’offrire all’astante uno scenario espressivo cangiante ed evocativo, edificato su una capacità di scrittura di certo non banale, sufficientemente articolata e non per questo sprovvista d’immediatezza.
Gli estimatori di
Perry Farrell e
Dave Navarro sussulteranno fin dal primo contatto con “
Walkers” e con la splendida “
Infinite secrets”, rilevando il gusto innato con cui i nostri s’impadroniscono del loro tipico
modus operandi, ma sono altresì certo che una reazione simile sarà appannaggio dei tanti ammiratori degli Alice In Chains non appena le spire torbide e ipnotiche di “
Save me” avvolgeranno il loro apparato
cardio-uditivo.
“
Shotgun wedding” aumenta i “giri” e si alimenta di un’intrigante pulsione “industriale” e di un
refrain assai
radio-friendly, la languida e onirica tessitura armonica di “
Home” piacerà a
Billy Corgan, mentre i frementi gorgheggi della
title-track aggiungono al quadro ispirativo addirittura qualcosa degli Shudder to Think.
L’orecchiabilità e i ficcanti fraseggi chitarristici di “
Spark” garantiscono un prolungamento delle buone vibrazioni e se cercate sensazioni ancora più “forti”, a esaudire i vostri desideri ci pensa il brano “manifesto” “
Neo Noire”, che concilia morbosa “fisicità” e acida passionalità.
Disco e gruppo parecchio interessanti, dunque, che ricordano uno dei momenti storici più importanti per l’evoluzione dell’
hard-rock, e lo fa con stile, sensibilità e con una buona dose di temperamento.