L’attesa per il nuovo full-length è altissima … così terminavo la disamina di “
Magick rites and spells”, ristampa arricchita del primo
Ep dei
Psychedelic Witchcraft, e oggi che “
Sound of the wind” è finalmente al cospetto del mio avido apparato
cardio-uditivo non posso che ratificare l’affermazione che i fiorentini sono tra i migliori patrocinatori del cosiddetto
occult-rock, e questo nonostante l’affollamento recente del settore, una circostanza che di norma non aiuta né la qualità dei prodotti né la spontaneità degli interpreti.
Una superba cantante come
Virginia Monti, dotata di una laringe inquietante e maliosa (e di un aspetto estetico altrettanto affascinante … il che non guasta …), musicisti di notevole sensibilità e tecnica e una rafforzata consapevolezza in termini di
songwriting fanno di questo nuovo albo targato
Listenable Records un ammaliante grumo di cupo e acido misticismo sonico, impregnato di una forza espressiva e di una disinvoltura che solo chi domina la materia con la “giusta” cultura può ostentare a tali livelli.
I richiami a Led Zeppelin, Black Sabbath, Coven e Jefferson Airplane, abbastanza consueti per il genere, nel programma del disco s’intrecciano con innata naturalezza e s’inseriscono con misura in dieci frammenti in note capaci di evocare una grande quantità d’immagini, solcando nebbie, brezze, oscurità e scosse elettriche, in una girandola “vera” d’intense emozioni.
L’arcana
intro “
Maat” schiude a fatica le pesanti porte della torva “
Lords of the war”, mentre con la cinematografica “
Wild we go” le melodie si fanno più avvolgenti e seducenti, un attimo prima che la
title-track materializzi davanti agli occhi la sgranata figura di un celebre
Coniglio Bianco intento a scorazzare nei nostri sensi ormai completamente soggiogati.
I riflessi
Hendrix-iani di “
Turn me on” garantiscono taumaturgici fremiti di soddisfazione, la grinta di "
Rising of the edge” coinvolge fin dal primo contatto e l’organo di "
The warrens” squarcia le palpitanti caligini del brano senza lasciare scampo all’astante.
I
fans di Blues Pills e Pristine, infine, non potranno davvero rimanere indifferenti di fronte alla voluttuosa "
Sin of mine”, quelli dei Doors proveranno un “brividino” per le atmosfere dilatate della deliziosa "
Let me be myself” e tutti gli estimatori della buona musica, una volta sfumato l’epilogo strumentale “
Horizons”, si troveranno, ne sono certo, a magnificare “
Sound of the wind” per quello che è, ovvero una lucida e vivida dimostrazione di come talento e ispirazione siano ancora armi invincibili per sconfiggere ogni eventuale forma di retorica e di artificiosa nostalgia.
L’attesa è stata ampiamente ripagata … sentitamente ringrazio.