Mi ricordo perfettamente, nonostante la memoria sia ormai un po’ ottenebrata da svariati anni di ascolti intensivi, il momento in cui “
Do me right” sconvolse la mia esistenza di
musicofilo.
Di chi era quella voce prorompente e virile che duellava con le sfarzose tastiere di
Gregg Giuffria, uno dei miei miti assoluti fin dai tempi degli Angel?
E chi si occupava di quel fraseggio chitarristico così misurato e preciso, che sfociava in un solo di grande sensibilità?
La risposta è banale, almeno per lettori
gloriosi e preparati come i nostri … si trattava rispettivamente di
David Glen Eisley e
Craig Goldy, aggiunti da quell’istante preciso all’elenco dei miei (tanti) eroi personali.
Impossibile, quindi, non rivangare il passato quando ci si trova di fronte ad un disco come “
Blood, guts and games” in cui i due riprendono a collaborare dopo un lungo periodo di separazione.
In particolare la curiosità (e l’ansia …) riguardava la prova di
Eisley, da anni lontano dalle scene musicali (le apparizioni “importanti” più recenti sono state "
Sweet victory", scritta con
Bob Kulick per …
ehm …
Spongebob e un’ospitata sull’ultimo album solista dell’ex Balance, Kiss e W.A.S.P.), distratto dalla sua carriera di attore.
Ebbene, togliamoci il pensiero e diciamo subito che l’ugola di
David è in egregie condizioni di forma, graffia e ammalia in maniera efficiente, con un pizzico di minore
pathos timbrico rispetto “ai tempi belli”, forse, pur rimanendo tuttavia complessivamente all’altezza della sua brillante parabola artistica (e qui mi piace ricordare anche i fenomenali Dirty White Boy, in società con
Earl Slick).
Craig, arrivati alla seconda parte della fruttuosa
partnership, si conferma un musicista al tempo stesso puntuale e concreto, sempre presente e mai fastidiosamente strabordante.
Il debutto di
Eisley / Goldy (sigla a cui contribuisce anche
Ron Wikso, noto per la militanza in The Storm, Foreigner, David Lee Roth, …) è dunque un lavoro di buon valore, alimentato da un
songwriting equamente suddiviso tra
seta e
acciaio (
oibò … “casualmente” è anche il titolo del secondo favoloso
full-length dei Giuffria, con
Goldy sostituito da
Lanny Cordola ...), capace di alternare zampate e carezze (proprio come ci si aspetta da interpreti con un
pedigree tanto impegnativo …), con il difetto principale di scadere talvolta in un’eccessiva diluizione dei temi.
Le scosse
heavy avvolte nel broccato di “
The heart Is a lonely hunter” aprono le ostilità con una ricca dose d’intensità espressiva, l’
hard-blues cromato “
I don’t belong here anymore” continua a scaldare gli animi e prepara l’ascoltatore a due ottimi frammenti sonici come “
Lies I can live with”, uno
slow notturno di notevole suggestione, e “
No more prayers In the night”, un pulsante numero di
hard-rock dai risvolti quasi "mistici", che con una maggiore stringatezza nella partitura avrebbe potuto fare sfracelli.
Si prosegue con le potenti scansioni di “
Love of the game”, “
Wings of a hurricane” produce fiotti adrenalinici di marca Rainbow-
iana e “
Life, if only a memory” aggiunge malinconia e sentimento al canovaccio espressivo.
Il finale del programma si attesta tra luci e ombre … le torride e intriganti “S
oul of madness” e “
Track thirteen”, tra Lion, Whitesnake e Deep Purple, si oppongono alla deludente “
Believe in one another”, una ballata confusa che si trascina stancamente per gli oltre sette minuti della sua durata.
Un progetto da promuovere, quindi, che potrà anche “crescere” qualora la benevolenza del mercato discografico gliene dia la possibilità … è inutile nasconderlo, però, anche se bisognerebbe evitare certi paragoni per molte ragioni poco proponibili, sull’intera operazione cala inesorabilmente l’ombra di una “storia” davvero troppo esaltante per essere trascurata e che pesa come un macigno sulla valutazione di un albo piuttosto lontano da quei fasti.