Modernità o tradizione? E' meglio cercare l'originalità a tutti i costi o è maggiormente vantaggioso riproporre, possibilmente in maniera non troppo scolastica, le caratteristiche peculiari dei classici?
La questione è annosa e, come appare chiaro, non riguarda esclusivamente il mondo della musica, essendo applicabile a molti settori dell'arte e della produzione di beni di consumo.
Alla fine si tratta, ovviamente, della solita questione di gusti, ma è evidente che tentare il percorso "estroso" è una scelta che non sempre paga, soprattutto se è un'opzione non presente nelle proprie corde ... insomma, sarebbe meglio fare quello a cui si è più portati e non sono frequentissimi i casi di cambiamento di rotta nel corso degli eventi realmente efficaci.
Tutta quest'introduzione per dire che difficilmente sarà possibile rintracciare nel suono dei veterani Baltimoore, giunti con "Fanatical" alla settima prova in studio, un qualunque bagliore d'aggiornamento sonoro ed in fondo questo non è da considerare assolutamente come un fattore negativo ... la loro materia preferita è un hard rock ad ampio spettro, che negli anni ha saputo mediare tra influenze AOR e lo spirito nobile ereditato dalla "sacra triade" Purple, Whitesnake e Rainbow, e visto che la conoscono così bene e la interpretano in modo così schietto, competente e genuino, perché auspicare un cambiamento radicale?
Certo, Björn Lodin non è più esattamente lo stesso che appariva in atteggiamento "pensieroso" ed enigmatico incorniciato sulla copertina del debutto "There's no danger on the roof" (tanto da farlo accostare anche per ragioni puramente estetiche ora a Robert Plant, altre volte a David Coverdale) e né Nikolo Kotzev (impegnato con i suoi Brazen Abbot), né Mats Olausson (tastierista collaboratore di Malmsteen) e tantomeno Ian Haugland (assorbito dagli impegni con i "rinati" Europe), che in passato hanno contribuito alla discografia della sua band, fanno più parte del "gioco", ma il rientro di Stefan Bergström (presente nei primi due album) e, innanzitutto direi, la conservazione pressoché assoluta delle considerevoli virtù vocali del vocalist scandinavo, rendono "Fanatical" un disco piuttosto piacevole per tutti gli appassionati del genere, anche maggiormente diretto e rough dei suoi predecessori.
Ecco, più che un mutamento stilistico è proprio quest'atteggiamento prevalentemente "straight forward", l'autentica "novità" del Cd, mantenendo, in ogni caso, buona parte delle prerogative melodiche tipiche del Baltimoore sound, anche se immerse in quest'ambientazione particolarmente "fisica" e senza veri e propri momenti soft.
"Fanatical" diventa, così, un concentrato di hard-blues roccioso, cadenzato, senza contaminazioni "adulte", di quella razza genuina, pregna del feeling eruttato dall'ugola di Björn, risultato incestuoso tra le modulazioni ruvide di Rod Stewart, Paul Shortino, Dan McCafferty e Bon Scott con un pizzico del trasporto di Coverdale (un attributo effettivamente in questo caso meno evidente che in alcune situazioni del passato) ed incendiato dalle torride sei corde di Bergström e Sedenberg, che vibrano, soffrono ed ardono, innalzando ad arte la "temperatura".
Con questi presupposti e in tale contesto sonoro, non c'è molto da aggiungere sui singoli brani, se non segnalare "Fanatical", "My number 1", "Wishes and reality", "Kiss me", "You touch me and I'm healing" e "On the inside", come i miei preferiti di un Cd alquanto appassionante nel suo complesso.
Tornando al quesito iniziale, direi che, nelle vesti di fruitore musicale, entrambe le posizioni possono essere potenzialmente convenienti, a patto che si scelga adeguatamente i migliori esponenti delle due fazioni e non ci si aspetti incroci o improvvise "conversioni" reciproche particolarmente efficienti.
I Baltimoore nel loro settore di competenza sanno il fatto loro ... nessuna sperimentazione, solo del vecchio, caro, sano, trascinante ed intramontabile hard rock.
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