Dopo aver di recente incensato il loro album dal vivo “
East Coast live”, recuperiamo, grazie alla lodevole ristampa curata dalla
Frontiers Music, anche l’analisi del disco d’esordio eponimo dei
Delta Deep, ben lontano dall’essere il semplice “passatempo”
roots di un musicista noto per suoni decisamente più cromati e
anthemici.
Eh già, perché, a beneficio degli inguaribili distratti, ricordiamo che la
band in questione è capitanata da
Phil Collen dei Def Leppard, ma non credo proprio che ascoltando la sua produzione qualcuno possa pensare ad una scaltra mossa “commerciale” attuata in tempi di diffuso
revival blues (
Kenny Wayne Shepherd,
Joe Bonamassa, Simo, …).
La verità è che questa “roba”, per essere credibile ed efficace, la devi avere radicata dentro l’anima, ed è innegabile che
Phil e i suoi
pards siano sostenuti nell’impresa, oltre che da una notevole competenza tecnica, anche da un coinvolgimento emotivo vero e genuino.
Così, se
Collen rivela una laringe ispirata assieme ad una evidentemente solo sopita grande passione per il “chitarrismo” di
Jeff Beck,
Jimmy Page,
Gary Moore e
Jimi Hendrix e la batteria di
Forrest Robinson pulsa all’unisono con il basso poderoso di
Robert DeLeo (Stone Temple Pilot), è la straordinaria voce di
Debbi Blackwell-Cook a fornire un fondamentale apporto di calore e tensione espressiva a composizioni molto “rigorose” e tuttavia vitali e davvero coinvolgenti.
Impossibile rimanere impassibili di fronte all’ardore
sudista di “
Bang the lid”, al raffinato
shuffle jazz n’ soul di “
Whiskey” o alle massicce vibrazioni elettriche di “
Down in the delta” e quando arrivano i duetti
Collen / Blackwell-Cook in “
Treat her like candy”, “
Miss me” e nella spigliatezza
funkeggiante di “
Feel it” sembra veramente di trovarsi di fronte agli anni d’oro della Motown.
“
Burnt Sally” è un
bluesone degno di
Stevie Ray Vaughan e, visto che un certo
David Coverdale ha deciso di concedere i suoi favori vocali a “
Private number”, non sorprende rilevare quanto il brano ricordi un po’ i suoi esordi da solista pre-Whitesnake-
iani.
All’appello mancano ancora il dinamismo di “
Shuffle sweet”, un’intensa versione di “
Black coffee” (pezzo di
Ike & Tina Turner, già rifatto da Humble Pie, Rival Sons,
Beth Hart & Joe Bonamassa, …), impreziosita da una sezione ritmica d’eccezione (
Paul Cook dei Sex Pistols e
Simon Laffy dei Girl) e la “mazzata” finale, rappresentata da un entusiasmante
remake di “
Mistreated” (dei Deep Purple, per gli eventuali “alieni” impegnati nella lettura …), a cui contribuisce fattivamente anche il
singer del
Leopardo Sordo Joe Elliott.
I
Delta Deep aggiungono un altro importante elemento di prova alla tesi che la “tradizione” può ancora, qualora non ci si limiti a un arido “copia e incolla”, essere viva e appagante ... mentre attendiamo (non senza una certa ansia) il ritorno dei Def Leppard, “
Delta Deep” è un ottimo modo per rilassarsi ed emozionarsi.
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