Un doppio schiaffo sonoro a chi li aveva dati per morti e sepolti (e il sottoscritto era uno di quelli): il nuovo metodo di rasatura delle "barbe" non sembra mostrare segni di noia o cedimento al contrario di quello usato da chi era solito stringerli sotto le sue Morse. Fatte le dovute scuse, "Gluttons for Punishment" (il titolo di un bootleg dei Deep Purple o l'ironia della band sul fatto che avendo così poco rientro economico da ogni tour si suona per il semplice gusto di divertire i fans ed incontrarli a fine concerto) è il primo live del dopo Morse di una band più unita che mai sotto la regia del sempre più convincente frontman-drummer Nick D'Virgilio (aiutato splendidamente da Jimmy Keegan che sta fisso dietro le pelli consentendogli di alternarsi tra batteria e centro del palco), logico aspettarsi una scaletta incentrata maggiormente sul materiale nuovo come l'intera suite "A flash before my eyes", eseguita con una resa tecnica impressionante. Dall'hard progressive-metal aggressivo di "Surfing down the avalanche" ai momenti più melodici come "She is everything" (gran guitar solo di Morse con il piano di Okumoto in sottofondo) e "I wouldn't let it go" (l'organo da chiesa a chiudere il brano) senza contare le parti strumentali dove ognuno viene coinvolto in egual modo ("The ballet of the impact", il finale trascinante ed imperiale di "Of the beauty of it all"), con menzione speciale per il basso di Dave Meros, molto più presente che nel periodo Morse. La prima concessione al vecchio materiale è un'altra suite, "Harm's way" ("The kindness of stranger"), la cui esecuzione non fa rimpiangere per nulla l'originale, ed il cantato di Nick, seppur con diversa impostazione di quello di Morse, riesce a mantenerne intatto lo spirito, l'emozionalità ed il dinamismo. Molti i momenti da segnalare: l'interludio chitarra-basso-batteria in stile fusion, il lungo intro condotto dal ritmo frenetico di Okumoto, un breve drum solo di Keegan, il finale in cui si ritorna alle atmosfere iniziali corali chiuse da chitarra e organo. La strumentale "Nwc" ("Octane") è qui proposta in versione allungata (9 minuti) per dar modo alla band di destreggiarsi ancor meglio tra electronic samples, strutture ancor più complesse, alternarsi tra chitarra e tastiere (qui Ryo usa anche quella a tracolla), sound moderno, nervoso e metropolitano, ma il piatto forte è un pazzesco drum solo di circa 3 minuti tra D'Virgilio e Keegan che non può non far richiamare quello tra Phil Collins e Chester Thompson nel live "Seconds out" dei Genesis ("Dance on a volcano") e che non si risolve in un semplice esercizio di bravura ma è parte integrante del brano. Senza aver paura di addentrarsi nel glorioso passato, ecco un'altra lunga suite, "At the end of the day" ("V") che apre il cd 2, la cui versione non si discosta molto dall'originale (a parte un momento in cui Nick presenta Dave Meros che si lancia in un bass solo), e anche senza Neal Morse si nota che il lavoro corale sulle melodie è molto riuscito, seguono quindi 2 brani da "Feel euphoria": la sempre più convincente "The bottom line" che combina rock, pop melodico, cambi di tempo nonchè un finale acustico intimo e sommesso, poi un keyboard solo atmosferico-spaziale di Okumoto si trasforma nel finale in un lungo intro di piano a cui si aggiunge la chitarra acustica, apripista per "Ghost of autumn" (forse il brano migliore del nuovo corso della band), il cantato di Nick è più intenso ed emozionale della versione in studio così come il break centrale di Okumoto ed Alan Morse, brividi intensi di gioia autunnale subito scalzati dal ritmo sbarazzino e divertente del pop rock di "As long as we ride" ("Octane") che decolla dopo un intro di chitarra acustica che fa scatenare il battimani, il finale viene allungato strumentalmente con D'Virgilio che si esibisce anche in vocalismi hard-blues a mo' di Ian Gillan e Steve Tyler, comunque la versione live ha un ritmo molto più hard rispetto a quella in studio. Le prime note del piano di Ryo provocano già urla di approvazione: ecco "The light", l'unico brano che purtroppo Nick non riesce a far suo vocalmente (d'altro canto la sua complessità è molto elevata e richiede una voce in grado di coprire diverse tonalità, ed in questo Morse è maestro indiscusso, basti guardare la sua versione in "Testimony live"), rimane però intatta e fedele dal lato strumentale con tutte le sue variazioni, sfaccettature e soluzioni inaspettate come la parte spagnoleggiante (I am senor Velasco) che lascia il posto al piano solo di Ryo supportato da basso e batteria. Non capisco il motivo dell'esclusione di estratti da "Snow" (li avrei visti meglio al posto di "The light"), ma a parte questo la band è in netta crescita e lo dimostrano i risultati positivi del tour europeo appena concluso (a cui ha fatto da special guest anche Mike Portnoy, in libera uscita a Parigi e Londra dal tour dei Dream Theater, un diario del tour dettagliato è presente al sito ufficiale www.spocksbeard.com), le barbe sono ancora ben lontano dalla fine, a patto che sulla strada non incontrino più gente come il sottoscritto pronta a stroncare sul nascere ogni loro tentativo di innovazione.
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