La figura di
Salpsan, mastermind ed unico membro degli
Spite, è (volutamente?) avvolta in un alone di mistero: di lui sappiamo che viene da Brooklyn (New York) e che ha fatto parte come turnista live di varie black metal band.
Ora dopo un EP, un singolo ed uno split grazie alla
Invictus Productions la sua malefica creatura ha estratto dalle profondità infernali il primo lavoro sulla lunga distanza, questo "
AntiMoshiach" di cui parleremo in queste righe.
Prima di addentrarci più a fondo nella musica è bene premettere che l'AntiMoshiach che dà il nome all'album non è nient'altro che una vecchia conoscenza di moltissimi gruppi dediti al metallo nero: l'AntiCristo nell'accezione ebraica del termine.
Detto questo l'intero album -artwork compreso- assume connotati più chiari così come i titoli di alcuni brani ("
The Devil's Minyan", "
The Shield of Abraham" o "
Vision of Merkabah") altrimenti di difficile decrittazione.
Dopo aver annoiato a sufficienza con questo nozionismo spicciolo passiamo alla musica; confesso di aver impiegato un po' prima di decidere se catalogarlo come ciarpame oppure se valesse la pena scendere più in profondità.
La tentazione di stroncarlo senza pietà infatti è stata forte dopo un primo ascolto quasi distratto: la produzione è confusa, i suoni sono impastati e la voce pesantemente offuscata da riverberi, echi e chorus.
A questo si aggiunga il fatto che il nostro
Spite/Salpsan non è - e credo non gli interessi nulla essere- un musicista eccelso con nessuno strumento; e dulcis in fundo, nonostante il flyer lo presenti come "raw desecration black metal", il suono di "
AntiMoshiach" fa il verso ai primi Slayer (quelli di "Show no mercy" ed "Hell Awaits") ed ai Venom degli esordi.
Perchè allora un voto oltre la sufficienza alla fine?
Perchè al netto di tutte le carenze tra le otto tracce del disco serpeggia il Male, perchè i riffs -che all'interno di ogni canzone si ripetono ossessivamente- sono disturbanti, perchè dal songwriting sgorga una tale venerazione per la profanazione di ciò che è sacro che, si sia d'accordo o meno, non si può restare comunque indifferenti.
E quando un lavoro del genere, con un sound "vecchio" di almeno 25 anni, riesce ancora a provocare sensazioni forti credo meriti attenzione.
Se siete disposti a lasciare che un'ombra si affacci sulla vostra anima fate vostro senza indugio questo dischetto.
Spite - "
The Shield of Abraham"
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