Recensione decisamente sdrucciolevole quella che mi accingo a scrivere. Tutt’ora, e nonostante i numerosi ascolti, nutro dubbi rispetto al voto assegnato ed al corretto angolo prospettico da cui inquadrare l’album in esame.
Tentiamo di far chiarezza elencando gli elementi a favore degli
Oceans of Slumber (manco fossi un bambino delle elementari):
- possiedono un talento sconfinato;
- suonano mostruosamente bene ed arrangiano con classe sopraffina;
- possono vantare una delle cantanti più spettacolari, eclettiche ed intense dell’intera scena;
- nel giro di pochi anni/album hanno saputo forgiare un sound dotato di raro fascino.
Dunque, a fronte di cotale ben di dio, come mai “solo” 7 in pagella? E soprattutto: come mai, se materializzo l’immagine dell’
artwork di “
The Banished Heart” nella mia testolina ottenebrata, il sapore che associo ad essa è quello agrodolce dell’occasione colta solo a metà?
Proviamo a spiegare:
- rispetto allo splendido predecessore, il crogiuolo d’influenze musicali da cui i Nostri attingono si è fatto ancor più ribollente, inglobando inflessioni
dark/
gothic,
prog,
djent,
doom,
avantgarde,
death e
soul in un amalgama sì esaltante, ma altresì instabile;
- la band texana, a mio avviso, dimostra qualche vizio di gioventù che le impedisce di padroneggiare appieno un sound tanto sfaccettato;
- partendo da tale presupposto, ottime intuizioni compositive vengono sovente diluite in tempistiche eccessive, o svilite da altre meno efficaci presenti nel medesimo pezzo;
- parimenti, non sempre convincono i cambi di ritmo ed atmosfera: talvolta forzati, non rispondenti all’esigenza del brano, quasi incastonati
ad hoc per sfoggiare eclettismo e suscitare sorpresa nell’ascoltatore.
Così, a puro titolo esemplificativo:
- un potenziale capolavoro di pathos crepuscolare come la
title track viene sbreccato da una porzione centrale sin troppo intimista;
- le due parentesi strumentali, “
The Watcher” e “
Her in the Distance”, vanno rubricate alla stregua di inessenziale slabbratura di un ordito musicale che già presentava ampie porzioni introspettive all’interno dei brani di lunga durata;
- tanto struggente è la linea vocale che anima il duetto tra
Cammie Gilbert e
Tom Englund (
Evergrey) in “
No Color, No Light”, tanto insipide quelle che affossano le velleità di “
A Path to Broken Stars”;
-
Dobber Beverly si conferma
drummer fenomenale, ma purtroppo alcuni suoi momenti di gloria s’incastrano in fasi poco significative, come accade nella convulsa progressione di “
At Dawn”.
Simili chiaroscuri sonori compongono un quadro contraddittorio, colmo di bellezza eppur incompiuto, in cui pennellate d’autore convivono con schizzi grossolani.
Sorvolando sulle inconsulte elencazioni di cui sopra, penso di poter concludere consigliando comunque l’acquisto a tutti gli amanti della musica di qualità, senza distinzioni di genere: in fondo, gli
Oceans of Slumber sono compagine di assoluto valore, e “
The Banished Heart” opera realmente preziosa.
Al tempo stesso, resto convinto che qualche angolo da smussare rimanga ancora, e che il meglio debba ancora venire.
Rimaniamo in trepidante attesa.