Dopo "Power of Warrior", gli
Armored Dawn, si ripresentano con il loro secondo album, "
Barbarians in Black", forti della nuova partnership con la
AFM Records e alfieri di un Heavy Metal che dovrebbe essere caratterizzato da un approccio Sinfonico e un animo Epico.
Aspetti che però si scordano troppo spesso di far risaltare.
L'incedere altisonante dell'opener di primo acchito sembrerebbe poter deflagrare, ma con il passare dei minuti "
Beware of the Dragon" si rivela fragile nelle strutture e leziosa nelle linee vocali. L'approccio di "
Bloodstone" non riesce a colmare quel senso di crescente diffidenza nei confronti degli
Armored Dawn, qui alle rese con un brano sfilacciato e forzatamente modernista nelle ritmiche e ancor più innocuo nei chorus. "
Men of Odin" tiene inizialmente fede al titolo con un passo epico e incisivo, perlomeno sino al refrain che vede i brasiliani andare alla deriva e perdersi nell'ennesimo tentativo, maldestro, di un ritornello catchy dove il cantante
Eduardo Parras (che può ricordare Heri Joensen dei Týr) paga pegno con una prestazione incolore e monocorde.
"
Chance to Live Again" una canzone che si attorciglia, alla resa dei conti incompiuta, su stessa, con ritmiche che suonano tremendamente sintetiche e con un guitarwork che suscita più di qualche perplessità. Non che "
Unbreakable" suoni più calda e meno artefatta, così per provare a trovare un brano che torni a convincerci dobbiamo proseguire nell'ascolto, finendo però per cozzare contro un'altra manciata di pezzi piuttosto raffazzonati, a partire da "
Eyes Behind the Crow" che paga pure pegno per linee vocali non particolarmente convincenti e delle tastiere alquanto banali, pari a quelle della scontatissima ballad "
Sail Away", sterile e vana, quanto poi l'assalto alla Metallium di "
Gods of Metal", che se pur ha qualcosa del piglio militaresco dei Sabaton e di quello da
defenders of faith dei Dream Evil, ottiene risultati ben lontani da quelli raggiunti da queste due formazioni. "
Survivor" è un altro episodio che pare non avere certezze sul percorso che intende perseguire, con quel suo andazzo rockeggiante (quasi alla Lordi) dove il cantante non appare particolarmente a suo agio, e pure la conclusiva titletrack non riesce a forzare quel muro di diffidenza sul quale si stagliano tutti gli appunti rivolti sinora gli
Armored Dawn, che non riescono a salvarsi nemmeno al suono del gong.
L'unica espressione di forza e solidità arriverebbe dalla copertina del disco, purtroppo il minaccioso guerriero che vi campeggia si presenta alla pugna con lame spuntate e ossa peste.
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