Nati dall'incontro tra l'americano, ora residente in Repubblica Ceca,
Ivan Belcic e il cinese
Xander Cheng, i
Kosmogyr possono, a ragion veduta, definirsi un gruppo Black Metal internazionale il quale, grazie all'interesse della nostra
Flowing Downward in collaborazione con
Avantgarde, da' alle stampe il suo debut discografico,
"Eviternity" (titolo splendido), album che ha richiesto due anni di preparazione, sia per la distanza geografica che separa i due componenti del gruppo, sia per l'attenzione maniacale che è stata posta ad ogni dettaglio.
Difficile credere, infatti, che questo album sia "semplicemente" un debut.
Suoni perfetti, pezzi arrangiati e suonati con grande classe, intuizioni compositive, sono tutti elementi che dimostrano la maturità, e la bontà, del progetto.
Del resto se la
Avantgarde, etichetta che raramente sbaglia qualcosa, ha creduto nei
Kosmogyr un motivo ci sarà.
Dunque, qual è il motivo?
Il Black Metal offertoci da questo splendido album è qualcosa che si pone a metà tra la scuola svedese della seconda ondata del metallo nero e l'interpretazione che del genere forniscono gli artisti della costa nord occidentale degli Stati Uniti con un tocco personale dato dalla "vastità" delle melodie utilizzate.
Il risultato di questo mix è un disco violentissimo (la drum machine, programmata perfettamente, viaggia quasi sempre in doppia cassa), crudo, marcato a fuoco da un meraviglioso riffing gelido e fottutamente evocativo, quasi catartico nella sua furia incontrollata, ma attento, come ricordavo prima, all'aspetto melodico sottolineato sia da improvvisi "squarci" di sereno in mezzo alla tempesta, sia da una generale attenzione in fase di songwriting a questo aspetto, tanto che ogni brano, dalla spettacolare
"Thalassic Lunacy", alla epica title track, passando per la deliziosa
"Quiescent", può contare su idee armoniche davvero fuori dal comune.
I layer sovrapposti di chitarra di
Xander duettano con lo scream devastante di
Ivan, capace anche di un growl molto profondo, in un connubio che sa unire cieca violenza e disperate melodie, mentre rari intarsi di tastiera e sporadici arpeggi classici ci riportano sulla terra dopo che il ghiaccio delle stelle ci ha avvolto richiamato da brani creati per materializzare proprio il buio del cielo sopra le nostre teste.
Proprio questa capacità di rendere quasi concrete emozioni e paesaggi astratti rende la musica dei
Kosmogyr così bella, così viva, donandole una forza ed una maestosità che difficilmente è facile respirare in un disco estremo come questo, un disco che va ascoltato con attenzione per poterne cogliere ogni singolo passaggio ed ogni sfumatura in modo che ciascuno di noi possa darne la sua personale interpretazione e possa, ognuno a suo modo, innamorarsene.
A me non resta che applaudire di fronte a tanta profondità musicale: chapeau!
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