In campo estremo, insieme a
Dimmu Borgir che sappiamo bene che fine hanno fatto, gli
Uada erano senz’altro uno dei gruppi più attesi dell’anno (con le dovute proporzioni) , forti di un album di debutto (
“Devoid The Light”) che aveva raccolto consensi unanimi … Detto che non ho mai capito cosa ci abbiano trovato molti colleghi e tanti metallari, nella mezz’ora abbondante dell’esordio, a parte dei chiarissimi riferimenti ai grandiosi
Mgla, immagino cosa si scriverà riguardo quest’album … Andiamo al dunque e diciamo subito che i 55’ di durata dell’album sono una dura prova cui sottoporsi, perché se mezz’ora passa veloce e spensierata, un album che dura quasi il doppio, se non è ispirato, finisce per uccidere e tritare le p***e … Non ho niente contro gli
Uada, non mi hanno sacrificato il gatto né rubato la merendina da piccolo, semplicemente sono dei furbetti americani, come ce ne sono tanti nella terra dello zio Sam, che costruiscono o hanno costruito il proprio successo sull’immagine, sulla comunicazione e sulla continua presenza live, che li fa assomigliare più al prezzemolo che ad una band … Cosa c’è che non va in
“Cult Of A Dying Sun” ? Tutto e niente, a livello formale è un album più che discreto, ben suonato, ben prodotto e con un’ottima parte visuale, a livello qualitativo però nascono molti dubbi … L’opener
“The Purging Fire” e la seguente
“Snakes & Vultures” sono due ottimi esempi dell’
Uada sound : ottime melodie, riffs semplici e facilmente memorizzabili, buona alternanza tra parti melodiche veloci e altre più atmosferiche, tanto che durante l’ascolto mi sono venuti in mente i
Mystic Circle (a cavallo tra
“Infernal Satanic Verses” e
“The Great Beast” ) mischiati alla scuola melodica svedese … Passato l’entusiasmo dei primi due pezzi si comincia piano piano a scendere nell’inferno musicale degli
Uada con una title track abbastanza banale, dove fanno la loro apparizione alcune influenze death,
Entombed meno ispirati direi, e la voce di
Jake Superchi comincia a non dimostrarsi all’altezza … L’idea poi di piazzare la strumentale
“The Wanderer” a metà album è da premio oscar alla follia … Il pezzo è assolutamente I-NU-TI-LE , nelle intenzioni credo doveva essere spettrale e ricco di pathos, nel risultato una perdita di tempo che chiamare riempitivo è voler fare un complimento. Da qui in poi è un susseguirsi di noia e banalità con i due pezzi seguenti che sono disarmanti nella loro pochezza, due perfetti esempi dei tempi finti e plastificati che stiamo vivendo, anche musicalmente … Fortunatamente l’album si conclude con
“Mirrors” un bel pezzo di 10 minuti che riassume il meglio e il peggio degli
Uada. In sintesi, su quasi un’ora di musica se ne salva la metà (guarda caso un po’ come il debut) , la produzione è buona, l’immagine è valida ma, nonostante il cambio della metà della line up, le idee già scarseggiano e la voce contribuisce ad affossarle … Non posso neanche immaginare cosa scriveranno gli stessi che hanno lodato i
Dimmu Borgir, probabilmente preferiscono il fumo all’arrosto … Buona fumata