Gli
Arca Progjet sono l’esperienza nell’ambito del
rock progressivo di
Alex Jorio (batterista degli
AOR Gods Elektradrive), il quale ha fin da subito trovato in
Gregorio Verdun un congeniale e motivato
partner.
Sergio Toya,
Carlo Maccaferri e
Filippo Dagasso rappresentano poi il qualificatissimo corollario a un progetto da valutare, alla prova dei fatti, del tutto all’altezza di quella “scuola” italica che, inevitabilmente, simboleggia un impegnativo riferimento per chiunque nel
Belpaese decida di cimentarsi nel genere.
In quest’ottica, possiamo tranquillamente considerare il valoroso contributo all’opera di
Mauro Pagani della PFM (più una miriade di altre importanti collaborazioni) e di
Gigi Venegoni e
Arturo Vitale degli Arti & Mestieri, una sorta di
fil-rouge tra le varie epoche di questa musica straordinaria, che però non sempre riesce a unire perizia esecutiva, creatività ed emozione, finendo troppo spesso per trasformarsi in materia esclusiva per iniziati.
I nostri sfuggono con innata disinvoltura tale diffusissima eventualità, scremano, tagliano, asciugano e scelgono di proporre un suono diretto e scevro da altezzosi intellettualismi, rendendo “
Arca progjet” un ascolto efficace e intelligibile anche per orecchie non particolarmente “allenate”, in grado di omaggiare la nostra prestigiosa tradizione (compreso l’orientamento più “radiofonico” adottato dalla
Premiata e dal
Banco negli anni ottanta e poi egregiamente riproposto da
Di Cioccio & C. nei tempi recenti …) senza apparire oltremodo datato al cospetto di un orecchio “contemporaneo”.
Abbiamo, dunque, a che fare con un ottimo esempio di (
hard)
prog-rock, spigliato, fluido, variegato, a tratti epico e barocco, eppure capace di una spiccata “leggerezza” di fondo, in cui la tecnica non è mai ostentata e diventa parte integrante di un’alchimia musicale costantemente alla ricerca della costruttiva funzionalità.
L’approccio lirico e comunicativo della voce di
Toya funge da prezioso collante a composizioni estremamente affascinanti, ricche di un vigore espressivo che sa esprimersi attraverso soluzioni a “presa rapida” come “
Arca”, “
Metà morfosi”, “
Requiend”, “
Battito d'ali”, “
Cielo nero” e la delicata “
Aqua”, e poi conquistare i sensi pure tramite elaborazioni maggiormente complesse, vedasi i tracciati nervosi e melodrammatici di “
Neanderthal”, il romanticismo
jazzato di “
Sulla verticale” o ancora la cangiante “
Pozzanghere di cielo”.
Un paio di episodi appena meno riusciti (la leziosità sfiorata in “
Delta randevouz” e la gradevolezza abbastanza “innocua” dello strumentale “
Un. Inverso”) non inficiano il giudizio complessivo su un albo di notevole valore, frutto del carattere di una formazione che fa della meditata duttilità artistica una delle sue principali qualità.
Forti d’idee chiare e di una precisa identità, gli
Arca Progjet testimoniano che la migliore stagione del vero
pop italiano non è sfiorita e che la loro astronave carica di note briose e ispirate merita di approdare nel porto sicuro delle vostre adorate collezioni discografiche.