Avviso a chiunque creda ancora che l’obiettivo principale di un gruppo “emergente” sia sfidare “l’esistente”, anche in una scena dove torpore e omologazione sembrano imperare … ascoltate con attenzione il debutto dei
Pacino e vi accorgerete che le vostre convinzioni non sono utopistiche e che si può tuttora sfuggire alle formule consolidate grazie al talento e all’ispirazione.
“
Fallen America” non è un disco “rivoluzionario”, non nasconde le sue influenze artistiche primarie (Nine Inch Nails, Alice In Chains, Faith No More, Korn, Orgy, …) e tuttavia riesce a manipolarle e a “scuoiarle” con un’innata sensibilità propria, rendendole un formidabile modello su cui cucire il proprio abito artistico.
Dotati di una certa dose di esperienza,
Douglas D'Este (Moofloni, di cui ricordo con piacere il possente lavoro eponimo della metà degli anni novanta),
Francesco Bozzato,
Bruno Zocca (
Aldo Tagliapietra, Criminal Tango) e
Mattia Briggi (X-Ray Life), sfornano un albo di notevole spessore, fatto di composizioni adescanti e intense, che riescono quasi sempre (forse l’unica eccezione è “
Iknusa”, un po’ troppo debitrice delle schizofrenie di
Mike Patton & C. …) a celebrare un certo tipo di sonorità “alternative” senza riprodurre pedissequamente le gesta di chi a suo tempo le ha inventate e divulgate.
Così, sebbene il modo in cui i veneti sviluppano le loro canzoni può rievocare brandelli della “storia” del genere, al contempo si apprezza la loro volontà di esplorare inedite formule interpretative, che portano l’astante a individuare nei brani un’identità piuttosto definita, anche se la strisciante seduzione della
title-track del disco ostenta un approccio che piacerebbe a
Jonathan Davis e in “
Lately”, “
Lifestyle” (appena meno efficace) e “
Under my feet” affiora la perversa confidenzialità di
Trent Reznor.
Il suono sospeso e liquido di "
Desert trip“, accompagnato da un cantato vagamente
Layne Stanley-esco (magari colto in un giorno “felice” della sua travagliata esistenza …), aggiunge un’altra sfumatura della variegata personalità dei nostri e quando, poi, la splendida “
Out of the cage” riesuma addirittura impensabili apparizioni di
british prog e le affianca a un pizzico della catarsi
anthemica dei Nirvana, appare ancora più chiaro come la cultura ampia e priva di preclusioni dei
Pacino funga da solida base per un dosaggio degli ingredienti equilibrato, fluido e fantasioso.
Con la cangiante “
The misanthrope”, dove pulsioni
funky-metal e piccole bizzarrie elettroniche confluiscono in un
refrain accattivante e si sublimano in un melodrammatico finale
Bowie-iano, esauriamo le doverose citazioni di un programma pensato, scritto, arrangiato e suonato in maniera arguta, creativa e coinvolgente.
Mai come oggi si avverte l’esigenza di
band che, pur partendo da alcune inevitabili “certezze” espressive, cerchino di andare “oltre”… i
Pacino sono decisamente sulla strada giusta per soddisfare tale necessità.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?