Ascolto l’esordio eponimo dei veronesi
Desounder di getto (ed è una cosa che faccio abbastanza di frequente, per evitare ogni eventuale forma di “condizionamento” …), senza leggere una riga della dettagliata scheda di presentazione con cui l’
Andromeda Relix, come di consueto, accompagna le sue produzioni discografiche.
La prima cosa che mi viene in mente durante l’appassionante fruizione alla “cieca” dell’albo è che il gruppo in questione di musica nella sua esistenza ne deve aver ascoltata parecchia e che il suo approccio al
rock n’ roll sembra assimilabile a un’avventura senza confini, che scava nella formazione artistica e nell’animo alla ricerca di efficaci spunti espressivi e, soprattutto, di emozioni autentiche da trasformare in canzoni.
Dopo il primo contatto, il doveroso approfondimento biografico in qualche modo conferma le impressioni iniziali, svelando la storia di una
band nata nel 2013 (con la denominazione Rider’s Bone) e capace di costruirsi un solido e vario
background di esperienze dal vivo, al fianco di nomi piuttosto importanti del
rockrama contemporaneo (Mike Terrana Band,
Rudy Rotta, Forever Still, JC Cinel Band, …).
Indipendentemente da ogni altra suggestione e congettura, è chiaro che abbiamo a che fare con quattro musicisti molto capaci e arguti, in grado di muoversi con destrezza lungo coordinate sonore allo stesso tempo “tradizionali” e “moderne”, che attingono con disinvoltura tanto dagli anni settanta quanto dai novanta, riscoprendo, così, un decennio assai creativo, troppo spesso bistrattato basandosi solo sul pregiudizio.
Un suono sempre alquanto personale, insomma, elaborato con equilibrio e classe, edificato sulle straordinarie doti vocali di
Eleonora Nory Mantovani (un’autentica rivelazione!) e sulla capacità di mescolare
hard-rock,
blues e
alternative in modo assolutamente coinvolgente, naturale e fluido.
Un’operazione difficile, che si sviluppa attraverso composizioni vitali e dense di
pathos, in un programma che spazia, sostanzialmente privo di pause emozionali, dal
rock ad “ampio spettro” di “
Man from the moon” al
rhythm’n’blues cangiante di “
Dear John”, passando per l’eclettico impatto frontale di "
Pain”, la ballata
Seattle-esca "
I take my time” e le scorie
hard-blues di “
Prisoner” e della favolosa “
King of nothing”, due brani che trasportano una materia “antica” dritta nel terzo millennio.
Le atmosfere malinconiche di “
The void of absence” consentono di svelare il lato più intimo dei veneti, mentre “
Save our souls” avvolge con le sue iridescenti contaminazioni soniche e “
You fall again” scurisce i toni alla maniera di certo
grunge e piazza l’ultima scossa di una raccolta che pulsa ininterrottamente di pura energia espressiva.
Dopo aver giustamente esaltato l’ugola dirompente della cantante (ottime anche le interazioni canore con l’ospite
Alessandro Zara) della
band, spendiamo due parole anche per il chitarrista
Nicolò La Torre, autore di una prova maiuscola per sensibilità e fantasia, lontana da inutili iper-tecnicismi.
Anche senza evidenti stravolgimenti stilistici, i
Desounder suonano parecchio “nuovi ” e rappresentano una bella boccata d’aria fresca all’interno di una “scena” emergente in cui concetti come temperamento
e carisma sono una vera rarità. Sostenerli nel loro presumibile percorso di ulteriore crescita è il minimo che si possa e si debba fare.