Sono fermamente convinto che quando la voglia di
hard-rock “classico” della “scena” discografica contemporanea avrà esaurito la sua nevrastenica ingordigia, saranno relativamente poche le
band da ricordare e che potranno continuare a fornire la loro “versione dei fatti”.
Tra i molti, anche eccellenti, rivisitatori di brani “altrui”, resteranno solo quelli che avranno dimostrato di possedere le qualità necessarie per sfuggire alla massificazione di una “bella calligrafia” e che pur rispettando un canovaccio artistico non esattamente “imprevedibile”, saranno stati capaci di intridere di personalità e di
feeling le loro composizioni, sfruttando una spiccata vitalità espressiva per rendere “attuali” soluzioni sonore ampiamente collaudate.
Tra questa rara categoria di “eletti”, credo possano essere inseriti proprio questi
Wonderworld, una coalizione italo - norvegese forse un po’ lontana dal centro del proscenio eppure artefice di tre
album davvero appassionanti, talmente istintivi e trascinanti da cancellare fin dal primo contatto ogni eventuale addebito di scaltra premeditazione.
Poter contare sulla voce incredibilmente versatile di
Roberto Tiranti, capace altresì di sostenere l’impianto sonico con le fluttuanti trame del suo basso, è sicuramente un significativo valore aggiunto, ma non va sminuito né il possente motore ritmico garantito dai tamburi di
Tom Arne Fossheim, né il lavoro fantasioso e sensibile di
Ken Ingwersen, un chitarrista che ha assimilato dai
Grandi dello strumento l’arte della misura e dell’incisività.
Aggiungiamo le tastiere dell’illustre ospite
Alessandro Del Vecchio e un
songwriting piuttosto vario, che aggredisce i sensi con innata efficacia, e diventa chiaro perché “
III” non può essere considerato un mero esercizio di
routine.
L’introduttiva “
Background noises”, con il suo
riff scuro e poderoso, esaltato da una linea vocale avvolgente e accattivante, è sicuramente un ottimo biglietto da visita di un approccio devoto e non banale, ma se cercate qualcosa di ancora più coinvolgente lo troverete di certo in “
Stormy night”, una vivace interpolazione tra
Sabs e Deep Purple, che piacerà ai
fans dei Black Country Communion.
Chi si fosse chiesto come suonerebbero i Mr. Big impegnati in una
jam con
Glenn Hughes, potrà trovare una plausibile risposta in “
Big word”, l’avvincente “
Crying out for freedom” mescola Whitesnake, Van Halen e AC/DC, mentre "
A mountain left to climb” ha qualcosa nelle fibre armoniche che mi ha ricordato tanto i Trapeze quanto i leggendari Montrose.
Ancora buonissimo
hard-rock blues con “
Brand new man” e, passando dalle vibranti scosse
Hendrix-iane di “
Rebellion”, si arriva alle atmosfere soffuse di “
The last frontier”, preludio alle ultime due “botte” del programma, “
Stay away from me”, dal
groove sudista denso e seducente, e “
There must be more” che ha i mezzi per mettere d’accordo i sostenitori di Chickenfoot e Queens Of The Stone Age.
In “
III” la “tradizione” non perde la sua purezza e al tempo stesso subisce un ispirato processo di “aggiornamento”, confermando i
Wonderworld nel ruolo d’illuminati restauratori del genere.