La cover dell’album ad opera di un sempre in forma
Chris Moyen ci introduce al nuovo lavoro dei finnici
Archgoat, “
The luciferian crown”, uscito sotto l’egida della
Debemur Morti Productions, etichetta che, da quasi un decennio, diffonde il luciferino verbo del duo
Lord Angelslayer/Ritual Butcherer.
Per coloro che si avvicinano per la prima volta alla band, gli
Archgoat sono uno dei più ferali, vecchi e longevi gruppi black metal provenienti dalla Terra dei 1000 Laghi. Per nulla inclini al compromesso, sono una di quelle band portabandiera del black metal satanico per eccellenza, quello in cui la musica è il privilegiato veicolo tramite il quale esprimere il pieno disprezzo per il cristianesimo e i suoi simboli.
Detto questo,
“The luciferian crown” continua il discorso sospeso nel 2015 con la pubblicazione di “
The apocalyptic triumphator”, il black metal d’assalto vede sempre più costante l’inserimento di precisi rallentamenti che non disdegnano la discensa in mid-tempo pregni di groove. Sì groove, avete letto bene.
E’ un dato di fatto che gli
Archgoat del 2018 non puntino al puro caos sonoro, hanno reso la loro proposta più “accessibile” (virgolettato obbligatorio mi raccomando, prendere cum grano salis), ed in questo senso si sono mossi scegliendo una produzione meno confusa – risultano comprensibilissimi sia i samples utilizzati che le linee di tastiera presenti in alcuni brani – e un cantato meno gutturale e belluino rispetto al passato.
Prendete ad esempio “
The obsidian flame (from my depths)”: l’incedere sulfureo e cadenzato di un riff semplice ma d’effetto, le sottili linee di tastiera in sottofondo, il cantato di un officiante
Lord Angelslayer… sembrerà strano a chi ha consumato allo sfinimento
“Whore of Bethlehem” eppure funziona!
Le canzoni sono meno istintive e più sfaccettate -
“The luciferian crown” brucia lento ma costante per tutti i suoi 36 minuti scarsi di durata – e credo che i vecchi fan probabilmente gli rimprovereranno di aver perso qualcosa in esplosività anche se le canzoni dove si pigia sull’acceleratore non mancano e picchiano forte (v.
“Jesus Christ father of lies” o
“Darkness has returned”).
Oggettivamente abbiamo fra le mani un buon disco, vario, dinamico ed intenso, e per questi aspetti va apprezzato. Lamentarsi che non è un “
Angelcunt” pt. seconda serve a ben poco.
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