Prima di scrivere questa recensione ho ascoltato l'album decine di volte.
In auto, a casa, in ufficio, con le cuffie, al buio, di giorno... ogni volta la conclusione è sempre stata la stessa:
"Grenzgænger" è una delle cose più intime, più profondamente personali che mi sia mai capitato di ascoltare.
Torsten Hirsch, del resto, lo aveva sottolineato nei mesi scorsi perché questo è un album che deriva da un lungo periodo oscuro nel quale il geniale poli strumentista leader degli
Agrypnie era caduto e durante il quale aveva dovuto confrontarsi, pesantemente, con i suoi demoni al punto che l'uscita stessa del lavoro era stata messa in dubbio così come l'esistenza del gruppo.
Questo lungo periodo (ricordiamoci che il precedente, meraviglioso,
"Aetas Cineris" usciva 5 anni fa) così denso di difficoltà era inevitabile che si riversasse, dunque, nelle note di
"Grenzgænger" che viene a diventare un concentrato di melanconia e di tristezza, di soave tristezza, come è molto difficile percepire ascoltando un qualsiasi album di Black Metal.
Gli
Agrypnie confermano, prepotentemente, il loro essere "altro" rispetto alla scena estrema.
Il connubio di post Black Metal ed atmosfere dolorose, da sempre caratteristica peculiare dei tedeschi, diventa sempre più personale, sempre più sofferente, sempre, come ricordavo prima, più intima, di una intimità spaventosa nel suo essere così palpabile, così vivida ed illuminata di fioca luce.
Ascoltare quest'album vuol dire sentirne chiaramente la sofferenza, vuol dire entrare in contatto con l'animo di
Torsten, un musicista straordinario nel sapere dare vita, e suono, alle sue visioni, per mezzo di una musica che passa dalla traboccante violenza delle partiture più estreme alla quiete delle atmosfere quasi ambient con una disarmante facilità riuscendo nel difficilissimo compito di far trascorrere oltre 70 minuti di musica, per "soli" otto brani, senza annoiare nemmeno per un istante ed emozionando ad ogni singolo passaggio, ad ogni singolo riff, ad ogni stupefacente apertura melodica o ad ogni urlo di un musicista che anche con la voce riesce a far scorrere brividi lungo la schiena nonostante l'uso esclusivo di una lingua "difficile" come quella tedesca.
"Grenzgænger" è un album che non ha un punto debole e per il quale è impossibile parlare di un singolo brano.
Qui dentro tutto è dove e come dovrebbe essere (artwork compreso).
Questa è la casa di ogni animo sofferente.
Questo è il luogo in cui abbandonarsi alle lacrime.
Questa è la musica dell'autunno e del grigio di ogni essere umano.
Qualcuno potrebbe usare la parola capolavoro per definire tutto questo.
Io mi limito a dire che questa è arte perché esaltazione del purissimo talento di un genio senza paragoni.