Tutte le culture, le religioni e persino le abitudini quotidiane della nostra società hanno dei comportamenti rituali. L'emblema del rituale - per
Max e soci- è il concerto heavy metal, con tutta la preparazione che ci sta dietro e tutti i fan adoranti, rivolti verso il palco dove si esibiscono i loro idoli.
E questo lo apprendiamo dalle info che accompagnano il disco.
L'apertura di questo nuovo "
Ritual", undicesimo album dei
Soulfly, ricorda in effetti proprio un rituale, con tamburi e danze che rimandano in parte a Roots ed al primo album omonimo del lontano 1998. Sempre le suddette info, ci dicono inoltre che con questo lavoro i Soulfly, dopo oltre 20 anni, vogliono tornare alle loro origini, avendo anche scelto un nuovo produttore come
John Wilbur. Questo è per loro un nuovo inizio.
Devo dire che -incredibilmente- queste dichiarazioni le trovo abbastanza veritiere. Su
Ritual si sente una nuova energia, una sana incazzatura, che viene però addomesticata un po' troppo spesso da uno schema trito e ritrito, fatto di un metal pieno di breakdown, intriso di groove, ripetitivo e sentito tante volte.
Gli avranno nascosto le merendine, ma
Ciccio Cavalera stavolta è arrabbiato.
Qualche inserto tribale, qualche abbozzo industrial, un'attitudine "in your face", infinite ospitate (dal fratello
Igor/Iggor, a
Randy Blyte, a
Ross Dolan...), cercano di vivacizzare un sound che sembrava seduto sul grasso culo del proprio frontman da troppo tempo. Diciamo da una decina di anni.
Mi spiego. Non c'è nulla di male a ripetere uno schema collaudato, se questo diverte e risulta coinvolgente. Anche Squadra Speciale Cobra 11 va avanti da oltre vent'anni, e sai bene che ci saranno gli inseguimenti, le esplosioni e le battute di Samir. Ecco, con i Soulfly lo schema era sempre quello ma mancava il divertimento.
I primi due dischi della band, per quanto distanti dal tipo di metal che amo, erano indubbiamente energici e freschi, con inserti reggae e diverse contaminazioni "spontanee" oserei dire, poi i Nostri hanno sterzato su territori più prettamente metallici con risultati a volte piacevoli, come in occasione di
Dark Ages oppure
Conquer, ma si sono poi accomodati su una soffice poltrona fatta di banalità per anni e anni.
Ma torniamo a noi.
Il thrash e il death metal sono sicuramente più presenti, fondamentali nel sound degli odierni Soulfly, relegando il "nu" in un angolo. Certo, il fatto che i pezzi siano spesso cadenzati o abbiano delle ritmiche molto simili ed accelerazioni "telecomandate", rende difficili apprezzarli davvero. Ma andiamo un po' meglio.
"
The Summoning" presenta tracce di black, c'è vera rabbia thrash in "
Demonized", c'è una sincera attitudine selvaggia e molto Motorhead-style in "
Feedback!".
Insomma, qualcosa si muove.
Complice anche l'arrivo del figlio
Zyon dietro ai tamburi ed un
Mark Rizzo libero da certi vincoli, i Soulfly sembrano essersi destati.
"
Ma come, ci sono questi miglioramenti evidenti e gli dai solo una sufficienza piena?"
Certo, la strada per arrivare a qualcosa da ricordare è ancora lunga ma, almeno, una scossa l'hanno avuta.