C’è poco da fare … quando sento il nome di
Jake E. Lee, più che i fasti con lo
Zio Ozzy, la prima cosa che mi viene in mente è la vicenda splendida, fugace e travagliata dei Badlands, un
supergruppo capace di rintuzzare l’inestinguibile fiamma dell’
hard-rock blues (in condivisione con Riverdogs e Dirty White Boy, altri magnifici
losers del genere …) in un momento abbastanza “difficile” per certi suoni come gli anni novanta.
Un’esperienza che ha segnato profondamente anche il chitarrista di Norfolk, tanto da evocarla nei suoi
Red Dragon Cartel che nella loro seconda testimonianza discografica ostentano, in una maniera superiore di quanto avvenuto nell’esordio del 2014, un legame “aggiornato” con i favolosi interpreti di “
Voodoo highway”.
Con una nuova sezione ritmica composta da
Anthony Esposito (ex-Lynch Mob, anche produttore dell’albo) e
Phil Varone (ex-Saigon Kick, Skid Row), la
band sembra essersi scrollata di dosso un pizzico di “formalismo”, rendendo maggiormente intense e profonde composizioni che non disdegnano di divagare in caleidoscopici territori psichedelici, lambendo, a tratti, pure proprio il mondo artistico degli eccezionali Saigon Kick (se non l’avete ancora fatto, recuperateli,
guys, soprattutto il debutto).
Così, se l’opener “
Speedbag” scava i sensi alternando impatto “fisico” e aperture liquide, la successiva "
Havana” ha i mezzi per mettere d’accordo i seguaci di Dead Daisies,
Ozzy e ZZ Top, mentre "
Crooked man” aggiunge all’impasto sonico un palese e sagace tributo ai Led Zeppelin, dimostrando che si può ancora evitare d’incorrere in sterili tentativi d’emulazione.
Dopo tre brani di lussuoso “riscaldamento”, arriva poi “
The luxury of breathing”, un denso grumo di
psych-hard-blues di grandissimo effetto emotivo, e se le vibranti scansioni di “
Bitter” sfidano sul loro terreno preferito i Black Country Communion, l’eccellente "
Chasing ghosts” e la appena meno efficace "
A painted heart” potrebbero finire per piacere anche agli estimatori degli Alice In Chains.
“
Punchclown” e “
My beautiful mess” offrono un intrigante, sebbene magari non completamente “a fuoco” (soprattutto la seconda), tentativo d’evoluzione della “tradizione” e “
Ink & water” chiude il programma solcando addirittura atmosfere
sixties, tra Doors e Masters Of Reality.
Due parole, prima dei consueti commenti finali, sull’ennesima prova di spessore di
Darren James Smith (Harem Scarem) e sul
chitarrismo di
Mr. Lee, estroso e costantemente alimentato da un febbrile ardore espressivo, degno dei maestri dello strumento.
“
Patina” è dunque un disco da consigliare anche a chi era stato un po’ deluso da “
Red Dragon Cartel”, non ancora del tutto all’altezza della carriera di un musicista straordinario, ma se non altro più eclettico e immaginifico di tante opere analoghe indirizzate alla “restaurazione” delle radici del
rock n’roll.
Auspicare che i
Red Dragon Cartel trovino la stabilità necessaria per proseguire in un percorso artistico piuttosto interessante diventa, a questo punto, un obbligo da adempiere per tutti i
musicofili che dai migliori pretendono il meglio.