L’Islanda pare una terra sbocciata solo nell’ultimo decennio a livello di qualità musicale e artistica, ma è meglio scavare più a fondo in questa terra così antidiluviana per rendersi conto che la scena nazionale riserva allettanti soprese. Se da noi la maggior parte del pubblico limita, comprensibilmente, le sue conoscenze ai ben amati
Solstafir o ai
Sigur Ros, anche solo nelle frange della musica estrema spuntano diverse conferme. Ne sono un caso gli
Svartidauði, ensamble black metal giunti al secondo lavoro sotto la tedesca
Ván Records. “
Revelations of the Red Sword” non lascia nulla all’immaginazione. Black metal olistico, crudo, misantropico, foraggiato da una produzione impeccabile (agli Studio Emissary di
Stephen Lockhart), che il più delle volte offre un meritevole sound all’avanguardia, lontano dagli esempi più oltranzisti della Norvegia dei primi ’90. La “morte nera” (questa la traduzione del monicker islandese) canta atmosfere apocalittiche, decadenti, dissolute. Celebra l’imminente, o forse già avvenuta, fine del mondo, con tutto il nichilismo necessario per sopravviverci.
Un intreccio continuo tra sfuriate diaboliche e sinistre ricercatezze melodiche, già presenti nel precedente lavoro, ma qui evolute e rielaborate stilisticamente. Probabilmente l’evoluzione migliore del black metal contemporaneo, assolutamente lontano dai fasti (diciamolo pure, commerciali) del post-black e dalla sperimentazione avant-garde, ma piuttosto risoluto nel ricreare temi musicali che affondano nelle radici del genere stesso. Un lavoro molto ben riuscito, impeccabile nella composizione, anche se non fa proprio urlare al miracolo per una certa compostezza forse già sentita. La strada è comunque spianata, e considerando che la band sarà in tour la prossima stagione, il trio islandese ha le capacità di dimostrare che si può ancora parlare di metal estremo senza cadere nel ridicolo.
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