Di recente fa ho rivisto con piacere “
Rock of ages”, filmetto senza troppe pretese eppure piuttosto godibile, almeno per chi è affezionato all’epopea del cosiddetto
hair metal, esplosa negli edonistici e selvaggi anni ottanta californiani e che molti
rockofili nostrani hanno vissuto (
ahinoi …) solo di “riflesso”, con invidia e ammirazione.
Tra le
special features della versione
blue-ray della suddetta pellicola è stata inserita un’interessante intervista (presentata da
Bret Michaels) con alcuni dei protagonisti dell’epoca (
David Coverdale, i Def Leppard,
Sebastian Bach,
Neil Schon,
Dee Snider,
Kevin Cronin,
Pat Benatar, ...) e vedere quei “sopravvissuti” raccontare con entusiasmo e autoironia gli eccessi e l’atmosfera eccitante e peccaminosa della Los Angeles
ottantiana non può che evocare un pizzico di nostalgia per un periodo in cui, a dispetto di quanto sostenuto dai numerosi detrattori, è stata prodotta anche tantissima buona musica.
Tra loro avrebbe potuto esserci tranquillamente pure
Stephen Pearcy (magari al posto di
Jeff Duncan di Odin e Armored Saint, sembrato un po’ fuori contesto …), uno che con i suoi Ratt ha sicuramente incendiato quella “scena”, tanto da indurre la critica specializzata a definirli una sorta di “nuovi” Aerosmith.
Le cose, come sappiamo, sono andate diversamente … i “roditori” dopo aver raggiunto l’
Olimpo del settore con "
Out of the cellar" e "
Invasion of your privacy", hanno avuto una carriera fatta di alti e di bassi, senza farsi mancare liti, separazioni e riavvicinamenti, il tutto condito dall’immancabile assortimento di beghe contrattuali.
Il quinto albo dell’ormai ex cantante dei Ratt riporta però la mente proprio ai suoni che hanno permesso alla sua voce viscerale e abrasiva di assurgere agli onori della cronaca musicale e anzi mi sento di affermare che “
View to a thrill” può essere tranquillamente considerato come una credibilissima reinterpretazione del celeberrimo
Ratt ‘n Roll.
Niente che possa essere consegnato alla
Rock Hall of Fame, sia chiaro, e tuttavia siamo di fronte alla prova più riuscita di
Pearcy da quando ha lasciato i suoi vecchi compagni, forte di una
partnership con
Erik Ferentinos giunta al culmine dell’affiatamento e di una qualità interpretativa e compositiva di alto livello, in grado di conquistare fin dal primo contatto.
Dichiarazione subito convalidata da “
U only live twice” (autobiografica?) dotata di un
riff tanto “familiare” quanto coinvolgente, da una “
Sky falling” che striscia e seduce alla maniera di
Alice Cooper e dalla graffiante “
Malibu”, che completa un terzetto di tracce degno del
Sunset Strip dei tempi d’oro.
Le viziose pulsioni
sleaze di “
One in a million” e “
Double shot” rappresentano un’altra efficace conferma del suddetto postulato e se “
Secrets to tell” alterna con esiti controversi ruvidezze a languide liquidità soniche, “
Not killin’ me” alleggerisce ulteriormente il clima continuando a destare svariate perplessità.
Per fortuna arrivano la lasciva “
Dangerous thing” e la contagiosa “
I’m a Ratt” (questa sì che è autobiografica …) a spazzare via i dubbi, mentre due brani tumultuosi e acidi come “
From the inside” e “
Violator” dimostrano quanto il nostro non viva esclusivamente di “gloriose memorie”.
“
View to a thrill” è un disco di certo non memorabile e ciò nonostante abbastanza lontano dalla competente
routine offerta da tanti veterani del settore … l’intensità espressiva presente nei suoi solchi ci riconsegna uno
Stephen Pearcy integro e agguerrito, capace di fare la “sua cosa” con merito e valore, senza preoccuparsi troppo di una
leadership, per molte ragioni, perduta da tempo e difficilmente recuperabile.