Dopo averci stupito con il rientro in formazione del talentuoso
Mike Howe, ed un più che discreto lavoro come "XI", i
Metal Church avevano fatto però storcere il naso ai propri fans con un live album mediocre, quale si era rivelato "Classic Live".
Li aspettavamo quindi al varco con il loro nuovo studio album, il qui presente "
Damned If You Do", ed è bene dirlo subito, non vale il suo predecessore, e non certo perchè manca dell'effetto sopresa, infatti, è quello che troviamo a non convincere: un songwriting scontato, una produzione non particolarmente brillante e mai tagliente, la mancanza di impatto frontale, in sintesi scopriamo una decina di canzoni che non sono in grado di reggere il confronto tanto con un ingombrante passato quanto con un presente in cui la "concorrenza" non manca di certo e spesso ha lame ben affilate.
Mostrano un certa personalità e un discreto approccio, le sole "
By the Numbers" e "
Into the Fold" (questa l'unica che riesce a rievocare gli spettri e i fasti di "Blessing in Disguise"), salvate più dal cantato arrabbiato e ringhioso di
Mike Howe che dalle chitarre, che svernano piuttosto fiacche per tutto il disco, di
Rick van Zandt e di
Kurdt Vanderhoof, che al più si fanno notare sulla strutturata e british "
Revolution Underway", più che altro perchè non devono mai cercare l'affondo e possono limitarsi al fraseggio.
Soprattutto incappiamo in un finale debole e non certo memorabile, a partire da "
Monkey Finger", midtempo che sembra più un episodio alla Skid Row di "Slave to the Grind" che un pezzo della
Chiesa Metallica, passando per "
Out of Balance", che gira su uno dei refrian più fastidiosi tra tutti quelli che ho sentito degli ultimi tempi, per poi finire il disco con l'altisonante (pur solo nel titolo) "
The War Electric", altro episodio sottotono con i due chitarristi che si sfidano stancamente e un
Howe più isterico del solito (quasi alla Bobby "Blitz" Ellsworth), così resta solo da apprezzare il buon lavoro svolto da
Stet Howland, che ha rimpiazzato Jeff Plate dietro le pelli.
"
Damned If You Do" si piazza più dalle parti di "Hanging in the Balance" che da quelle di "The Human Factor", ma senza arrivare a sfiorare l'impatto o la qualità di nessuna di queste due uscite.