Rimango dell’idea che se il buon H.P. Lovecraft fosse ancora fra noi (probabilmente la sua morte è stata inscenata per non destare sospetti mentre in realtà la sua mente è stata “ridotta” e mandata su Yuggoth) sarebbe ricchissimo grazie alle royalities spettanti dall’utilizzo della sua cosmogonia da parte di una buona metà della band heavy metal.
Anche i tedeschi
Ichor, infatti sfruttano ampiamente queste tematiche per le liriche dei propri testi fin dall’esordio con
“The siege” nell’ormai lontano 2009 e l’attuale quarta uscita – intitolata
“Hadal ascending” – non costituisce l’eccezione alla regola.
Ad un primo, veloce ascolto si nota che il death metal tecnico ed evocativo della band teutonica si è di raffinato nel corso degli anni: vuoi perché la band ha acquisito una maggiore consapevolezza nei propri mezzi, vuoi perché è riuscita a definire completamente la strada da seguire, fatto sta che il quintetto è riuscito nella particolarità di fondere abilmente la violenza di base del death smorzandolo con parti evocative decisamente più ambient (termine da prendere con i dovuti distingui si intende), e aperture black oriented.
Il risultato è sorprendentemente assimilabile alla proposta dei
Behemoth di un decennio fa (assolutamente non quello che fanno ora) e, in parte, dei
Nile con quelle orchestrazioni atmosferiche dal sapore “misticheggiante” che donano spessore e varietà alle tracce contenute in
“Hadal ascending”.
Di contro, l’album, pur essendo parecchio valido, non possiede un acme definito. Non si riesce ad individuare una o più canzoni tali da farlo salire di un ulteriore livello, quelle che ti rimangono in testa per giorni tanto per capirci, probabilmente perché, per come è stato concepito, esso è un lungo racconto messo in musica.
Uno di quei dischi che deve esser ascoltato, riascoltato e ascoltato una volta in più per poterne apprezzare in pieno il contenuto, quindi prendetevi tutto il tempo che vi serve. Le Creature del Profondo ve ne saranno grate.
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