Aspettavo con impazienza questo nuovo album degli Amorphis, certamente uno dei gruppi più interessanti degli ultimi anni. Sempre in grado di rinnovarsi disco dopo disco, nel breve volgere di qualche anno i finlandesi sono passati dal death/doom degli esordi ad un mix vincente di metal e rock anni '70, la cui massima espressione rimane il monumentale "Elegy" del 1996. La loro croce è sempre stata la cronica instabilità della line-up, a causa della quale non sono mai riusciti a realizzare due dischi consecutivi con gli stessi musicisti.
Nemmeno a farlo apposta, all'indomani del tour per l'ultimo album, "Far From The Sun" del 2003, la band ha dovuto fronteggiare la partenza del cantante Pasi Koskinen, da molti considerato un elemento fondamentale. Logico, quindi, che l'attesa per questo nuovo "Eclipse" fosse più sentita che in passato. Dopo aver ascoltato le 11 tracce che compongono il nuovo album, possiamo affermare senza timori di smentita che la band ha trovato un validissimo sostituto nella persona dell'ex Sinisthra, Tomi Joutsen, che non solo non fa rimpiangere affatto il proprio predecessore, ma anzi, dimostra di essergli superiore da diversi punti di vista. Intanto, c'è da dire che dopo anni di assenza (per molti ingiustificata), sono finalmente tornati i growls, che alternati alle parti vocali pulite, costituivano una delle migliori caratteristiche del sound degli Amorphis.
Inoltre, Joutsen non pensa ad imitare chi lo ha preceduto, ma utilizza un ampio spettro di stili, che non possono che giovare al risultato finale. Ovviamente la sola prestazione vocale non basta ad ottenere un buon disco e per fortuna, il songwriting è rimasto su alti livelli, tanto che mi sentirei di definire "Eclipse" come il miglior album degli Amorphis dopo "Elegy". E' doveroso aggiungere che stiamo parlando di un concept basato sul poema finnico "Kalevala", lo stesso che aveva ispirato i testi del grandioso "Tales From The Thousand Lakes" del 1994.
"Eclipse" è un disco dal potenziale enorme, in grado sia di riavvicinare i vecchi fans delusi dalle ultime prove, che di attirarne di nuovi, grazie a un pugno di canzoni di valore, più semplici e dirette che in passato ma non per questo prive di spunti assolutamente interessanti. L'inizio di "Two Moons" è dei più promettenti: sintetizzatore in apertura, chitarre potenti, batteria sparata e infine la voce di Joutsen, aggressiva e tagliente, che subito dopo la prima strofa si lancia in un refrain melodico e cadenzato. L'alternanza di atmosfere roventi a momenti più riflessivi è alla base di quasi tutti i brani di questo disco ed è certamente un pregio. Si trovano anche pezzi più "catchy" come il primo singolo "House Of Sleep", mid tempo molto semplice, con una bella melodia, il pianoforte di Santeri Kallio in primo piano e un cantato generalmente rilassato, che personalmente mi ha ricordato i Paradise Lost di fine anni '90.
Il vero capolavoro è però la terza traccia, "Leaves Scar": si parte con flauto e chitarre acustiche, si prosegue con un riff massiccio, cadenzato e meravigliosamente sostenuto dal growling, per sfociare infine in un refrain splendido e zeppo di melodia. Decisamente il brano più rappresentativo del nuovo corso degli Amorphis, poichè in tre minuti contiene tutti i chiaroscuri e tutte le diverse sfumature che si possono apprezzare durante l'intero album. "Born From Fire" segue più o meno la linea di "House Of Sleep" e quindi lascia abbastanza poco il segno, mentre "Under A Soil And Black Stone" è un'altra gemma, una canzone riflessiva in cui sono il pianoforte e il wha-wha a farla da padroni, con ancora una bella prova di Joutsen che dimostra di essere a proprio agio nelle "ballads" più di quanto non lo fosse Koskinen. Bella l'accelerazione finale, che ci conduce dritti al secondo pezzo più heavy del disco, "Perkele", introdotta da un fraseggio orientale, malvagia e corrosiva nel suo incedere inquietante, sottolineato anche da potenti cori che sembrano provenire veramente dagli inferi.
Ma evidentemente gli Amorphis oggi vogliono stupire ad ogni brano, ed ecco che l'atmosfera maligna di "Perkele" si trasforma nella melodia accattivante di "The Smoke", uno degli episodi meglio riusciti di "Eclipse" grazie, ancora una volta, all'ottima alternanza fra growling e voce pulita. C'è poi spazio per "Same Flesh", piuttosto leggera e poco incisiva nella strofa, si risolleva in parte nel bel ritornello accompagnato da tocchi di Hammond ben inseriti. "Brother Moon" ha invece un feeling celtico e una melodia portante che, almeno a me, ricorda clamorosamente un vecchio brano ("Carry Me") del gruppo folk/punk inglese The Levellers. Si tratta di una canzone abbastanza atipica per gli Amorphis e per molti potrà sembrare fuori contesto in un disco come questo; ciò non toglie che sia un gran bel brano, più che degno di un ascolto. Più canonica, anche se sempre godibile, la conclusiva "Empty Opening".
In buona sostanza, nonostante un leggero calo negli ultimi pezzi, quello che abbiamo fra le mani è un ottimo disco, che riporta gli Amorphis su livelli qualitativi vicini a quelli che, una decina di anni fa, li avevano consacrati al pubblico come una delle migliori espressioni del metal scandinavo. Tomi Joutsen, come già detto, si è rivelato un acquisto decisamente positivo e capace di portare una ventata d'aria fresca nel sound del gruppo, con una performance varia e convincente. Se solo i brani più leggeri avessero avuto un pizzico di energia in più, probabilmente staremmo parlando di un capolavoro. Per adesso, è "solo" un album molto valido, ma la strada imboccata è senza dubbio quella giusta.
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