Ci vuole coraggio e forse incoscienza. Viviamo nell’era delle comunicazioni di massa, tra internet, viaggi virtuali ed un futuro che riduce le distanze in un batter d’occhio […]. Sì, ci vuole proprio coraggio ed incoscienza, ma forse ci vuole anche passione! Passione è una parola grande, magica, che può scatenare energie incontrollate […]”.
Con queste frasi si apriva il primo numero (dicembre 1996) di
Andromeda,
fanzine fondamentale per il recupero dei “
suoni di ieri e di oggi per la musica di domani” (come recitava il sottotitolo della suddetta).
Un’iniziativa editoriale pionieristica che sarebbe presto diventata anche un’etichetta discografica, alimentata dagli stessi sentimenti e spronata da quella voglia di “conoscenza & divulgazione” che dovrebbe stimolare ogni vero
musicofilo.
Non è un caso che il primo parto dell’
Andromeda Relix (allora
Andromeda Relics) fosse la ristampa dell’esordio, intitolato “
Welcome to heaven”, dei goriziani
Pat Heaven, una delle formazioni di
hard-rock più “criminalmente” sottovalutata del nostro
Belpaese, nonostante un’intensa e apprezzata attività
live (con esibizioni anche nell’ex – Jugoslavia).
A distanza di quasi vent’anni da quella doverosa riedizione e a più di trenta dall’uscita originale, arriva, sempre per la
label veronese, “
To heaven again”, la nuova edizione arricchita di quel debutto, in una versione che non dovrebbe proprio mancare nelle collezioni di tutti gli appassionati di
rock n’ roll.
I motivi?
Beh, innanzi tutto per il suo intrinseco valore artistico, considerevole, destinato ad appagare gli estimatori di Rainbow, UFO e Deep Purple (ma nell’impasto sonico talvolta affiora anche qualcosa dei Simple Minds).
Poi, per la sua sontuosa veste grafica, a guisa di
7”, e per le tre
bonus dal vivo, tra cui le brillanti
cover di “
Doctor doctor“ e “
Mistreated”.
Infine, ed è probabilmente la ragione principale, perché dimostra che quella
PASSIONE, quel
CORAGGIO e quell’
INCOSCIENZA sono ancora, per tutti quelli che sanno andare oltre la superficialità imperante dei nostri tempi, armi formidabili, capaci addirittura di sconfiggere, seppur per un breve periodo, la morte.
Scoprire che i primi due brani della scaletta rappresentano un ulteriore
addendum registrato nelle stanze dell’ospedale dove era stato ricoverato, a fronte di un male incurabile, il tastierista
Dario Trevisan e leggere nel
booklet le testimonianze del medico che lo aveva in cura, di
Massimo Devitor (l’ottimo cantante del gruppo, nonché promotore dell’intera iniziativa) e degli altri membri della
band, getta una luce di “speranza” sul cinismo e sull’indifferenza che troppo spesso caratterizzano il mondo contemporaneo.
Sono perfettamente consapevole che in questi casi il rischio maggiore è di cadere nella facile retorica, per una volta, però, non voglio preoccuparmi minimamente di tali eventuali razionali implicazioni e pensare che
Dario abbia alla fine perso la sua ineluttabile battaglia facendo quello per cui era vissuto, mi provoca un intenso e struggente brivido d’emozione … lo stesso che sono certo proveranno tutti quelli che amano profondamente la musica e che grazie al suo aiuto riescono ad affrontare con maggiore serenità le tante traversie, più o meno importanti, del vivere quotidiano.