Stessi effettivi, medesimo stile musicale e due denominazioni diverse … arduo non trovare quantomeno “singolare” la decisione dei Jess And The Ancient Ones di “rinominarsi” in
The Exploding Eyes Orchestra per proporre nuovamente la loro ipnotica miscela di
hard-rock,
psichedelia e occultismo (qui, invero, arricchita da vaghi barlumi di
post-punk ...), ma non credo che gli estimatori del gruppo “madre” e, più in generale, di tali sonorità, possano lagnarsi della scelta.
In “
II”, seconda (chi l’avrebbe mai detto
eh, …) prova della
band finnica in questa configurazione, ritroverete tutte le peculiarità seduttive e ipnotiche possedute dallo
psych-rock intriso di caligine quando a suonarlo ci sono musicisti straordinariamente visionari e competenti, pilotati da una voce, quella di
Jasmin Saarela (
alias Jess e
Jasse S.), tra le più ammalianti dell’intero panorama musicale internazionale.
Il tutto è concentrato in sette composizioni che attanagliano nella loro polarizzante sostanza sonica, immerse in un vorticoso viaggio a ritroso nella storia del
sound lisergico e oscuro, capace, però, anche di continui rimbalzi in avanti, privo di quel manierismo emulativo tipico di tanti, troppi, frequentatori del genere.
Magari lungo il programma non tutte le istantanee sonore sono ugualmente a fuoco e tuttavia è davvero difficile non trasalire di fronte ad un albo che esordisce con la dolcezza eterea e magnetica di “
Those of us left” (con quel
sax che scava nei sensi …), in grado di produrre una forma istantanea d’intenso inebriamento.
Un effetto che viene replicato pure in “
Belladonna”, pregna di umori liquidi e astrali, “
Harmain”, in cui la
singer indossa i panni di sacerdotessa delle antiche foreste nordiche e in “
The things you do”, dove ad attrarre sono le tumultuose e stralunate contaminazioni
fifties.
Si continua con la litania malinconica di “
The birch and the sparrow”, forse un po’ troppo diluita, e con le disinvolte pulsazioni
bluesy di “
Go go Johnny go”, per poi lasciare a “
Love eternal”, una sorta di
cosmic-dark-suite imbevuta di melodramma, torpore e inquietudine, il compito di portare a termine l’ennesima prova di grande potenza espressiva fornita da una formazione che, in qualunque modo decida di chiamarsi, ha ampiamente superato la soglia della maturità e della vivida ispirazione artistica.
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