Cito testualmente da “Wikipedia”: “
Il paradosso della nave di Teseo esprime la questione metafisica dell'effettiva persistenza dell'identità originaria, per un'entità le cui parti cambiano nel tempo; in altre parole, se un tutto unico rimane davvero se stesso (oppure no) dopo che, col passare del tempo, tutti i suoi pezzi componenti sono cambiati (con altri uguali o simili).”
Vediamo di capire meglio questo concetto addentrandoci nello specifico in questo nuovo progetto denominato per l’appunto “
SHIP OF THESEUS” ideato dal chitarrista italiano
Marco Cardona che, dopo aver spaziato all’interno di diversi sottogeneri, dal folk al melodic-death, al gothic, con bands del calibro di
Krampus e
Tystnaden, evidentemente avvertiva la necessità di sperimentare nuove sonorità, considerando che per questa avventura si circonda di musicisti di estrazione prog-power-trash come il bassista
Giorgio Terenziani degli
Arthemis, il vocalist
Michele Guaitoli (già singer di
Overtures,
Temperance,
Visions Of Atlantis e Kaledon) e, per concludere, l’ex drummer degli
Extrema Paolo Crimi.
Il disco intitolato, non a caso, “
The Paradox” si apre con la title-track che, altro non è che una brevissima intro, per poi partire davvero con la successiva “
Reborn”, brano orecchiabile senza infamia e senza lode. Si prosegue poi con “
Time Has Come” (che verrà riproposta in chiusura del disco con
Greg Bissonette alla batteria come special guest) che ricorda vagamente alcuni lavori dei brasiliani
Almah di
Edu Falaschi ed è indubbiamente un pezzo convincente, merito soprattutto delle sue piacevoli ed armoniche melodie, le stesse che si possono riscontrare anche nella quarta traccia “
Hear Me Out” e che consentono di far presa sull’ascoltatore. Con la successiva “
Blue” tuttavia l’atmosfera si trasforma radicalmente facendosi più cupa, i riffs di chitarra si appesantiscono notevolmente richiamando chiaramente i migliori lavori dei
Nevermore, stesso discorso anche per “
Suspended” e “
Like A Butterfly”, pezzi drammatici che, si reggono, più che sui virtuosismi dei singoli musicisti, sull’intensità emotiva creata dalle linee melodiche che rimangono cupe e tiratissime, non c’è più traccia ora dell’orecchiabile spensieratezza dei brani iniziali.
Dopo “
The Promise”, una ballad abbastanza scontata che non convince, è la volta di “
Reflections In The Mirror”, forse l’apice della tensione espressa da quest’album, i riffs di chitarra sono chiaramente di matrice trash cosi come la sezione ritmica che è solidissima lungo l’intera traccia. Prima dell’outro “
Ending” si passa da “
The Cage”, ennesimo pezzo potente con i soliti richiami ai
Nevermore ma stavolta con una tastiera che sembra dare maggior respiro un sound che rimane serratissimo al limite della claustrofobia, mentre nella successiva “
Wounded”, si prosegue con un prog assai feroce ma stavolta più simile ai
Dream Theater più aggressivi (quelli di “
The Glass Prison” o di “
Train Of Thought” per intenderci).
Insomma, l’album si fa ascoltare con piacere e curiosità al tempo stesso, la proposta musicale di
Cardona e soci che va comunque apprezzata per il coraggio, è quella di un metal moderno sia nelle linee vocali (
Guaitoli si dimostra per l’ennesima volta un singer assai dotato e molto versatile) sia nelle atmosfere che si respirano all’interno dei singoli brani, la cui intensità emotiva è fondamentale, più dei virtuosismi dei singoli, per creare quel pathos necessario per colpire e coinvolgere l’ascoltatore, tuttavia le tecniche adottate per raggiungere questo obiettivo si ispirano chiaramente alla tradizione e le influenze delle bands che hanno reso grande il genere sono vivissime; è esattamente questo il concetto del “paradosso della nave di Teseo” di cui si parlava all’inizio: tentare di mantenere l’identità originaria del genere, cercando tuttavia nel contempo di ammodernare le parti che il tempo ha reso ormai obsolete. Certo, la questione tuttavia rimane aperta: la natura dell'elemento originario è rimasta davvero la stessa, oppure è stata snaturata? Ad ognuno di noi e di voi l'ardua sentenza...