Metalcore...Modern thrash...New wave of American heavy metal...deathcore...Scandinavian thrash...queste ed altre etichette sono venute fuori nel corso degli ultimi tre anni. Spesso usate a vanvera, raramente abbinate con successo a qualche disco o band, queste denominazioni lasciano il tempo che trovano. Teoricamente si dovrebbero usare per facilitare l'orientamento del fan medio di fronte alla recensione di turno. Ma sempre più sovente queste etichette perdono valore. I motivi sono essenzialmente due; il primo è che certe definizioni hanno come radice musicale i soliti 4/5 nomi storici, quindi Pantera, Slayer, At The Gates, Machine Head, Sepultura, i quali hanno definito le coordinate stilistiche del metal più estremo con lavori entrati nella storia e nel Gotha musicale. Il secondo punto è che il più delle volte, le band emergenti cavalcano tutto lo spettro musicale delle definizioni poste in apertura di recensione. Ultimo caso in esame è questo " Terminate Damnation ", secondo prova degli americani Becoming The Archetype, attivi da qualche anno e con un album autoprodotto, " The Remnant ", uscito in sordina nel 2004. Il quintetto d'Oltreoceano, concettualmente legato a tematiche cristiane, ricalca in pieno quanto da me descritto qualche riga più indietro. Frettolosamente archiviati come metalcore band, in verità i Becoming The Archetype sfuggono da qualsiasi tentativo di etichettare la propria musica. Ci vuole una profonda ed accurata, nonché paziente analisi, un costante e meticoloso scandaglio per riuscire a comprendere in pieno questo lavoro. Un lotto di canzoni coperte da uno strato volutamente impenetrabile, che solo dopo svariati ascolti si lascia scalfire, permettendo così l'affiorare di una quantità incredibile di particolari. Un lavoro che concede poco all'immediatezza, un disco che và ascoltato con la giusta predisposizione, altrimenti si rischia di far svanire nelle mani una serie di tracce stupende. Un mix tra la violenza del death/thrash di sapore nord Europeo e quelle nuove sonorità a stelle strisce, come i The Dillinge Escape Plan o i Mastodon, guidato con mano sicura da un'anima progressive. Una canzone come " Elegy ", 11 minuti e 41 secondi devastanti, non può essere apprezzata al meglio se non ci si approccia nella maniera adeguata all'ascolto. Un disco che appaga ogni sforzo, che regala sempre qualcosa di nuovo, garantendo longevità e goduria praticamente inesauribili. Grandiosa band per un grandioso disco.
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