"Il peggiore della loro discografia".
"Poche idee sepolte sotto un mare di produzione".
"Troppa atmosfera".
"Stanno riciclando quanto fatto negli ultimi album".
Queste le opinioni, tutte rispettabili, che mi è capitato di leggere in giro per il web prima dell'uscita ufficiale di
"The Heretics" il nuovo album di
Sakis Tolis, il nuovo album dei
Rotting Christ.
Come sempre, pur tenendo presente cosa pensano gli altri, a me importa solo ed esclusivamente cosa penso io e quindi ho ascoltato, sto ascoltando e ascolterò il disco come se la fuori non ci fosse nessuno e ciò che contasse fosse solo il mio cuore.
Un po' come fanno i greci con la loro musica: a loro interessa solo il proprio cuore, le proprie idee, quelle che in una carriera trentennale gli hanno permesso di non prostituirsi MAI a nessuno, di essere sempre e solo se stessi e di essere un gruppo unico.
Un gruppo che, ovviamente, può piacere o non piacere, ma che unico resta.
"Since man cannot live without miracles, he will provide himself with the miracles of his own making. He will believe in any kind of deity even though he may otherwise be a heretic, an atheist, and a rebel"Le "spoken words" tratte da Fyodor Dostoyevsky che aprono
"The Heretics", del resto, mettono in evidenza proprio questa attitudine e danno la cifra espressiva di un lavoro semplicemente clamoroso e fiero di essere diverso.
Non aspettatevi black metal: troppo spesso, anche nel lontano passato, il monicker del gruppo ci ha tratto in inganno.
Qui non ne troverete, sebbene ne avvertirete l'alone malvagio che cova sotto la cenere.
"The Heretics" è, invece, un album di atmosfera.
Una atmosfera oscura e "religiosa" esaltata dai cori possenti che fanno da contraltare alla voce, sempre più roca ed inconfondibile, di
Sakis.
Una atmosfera maligna che, silenziosamente, cala tutto attorno e avvolge ogni cosa impregnandola come fosse incenso.
Una atmosfera in direzione della quale si muovono le scelte musicali di un album basato sui mid tempos, sebbene non manchino qui e la i blast beats, su chitarre possenti e crudeli e sull'uso poliedrico delle voci che cantano, recitano, sussurrano e inquietano sfruttando lingue e culture diverse.
Certamente i
Rotting Christ hanno guardato al loro passato ed ai dischi precedenti si sono ispirati, a volte citandoli direttamente, ma le idee, quelle restano di valore enorme: brani come le meravigliose
"Fire God and Fear", con un Sakis rabbioso da antologia e cori che mettono i brividi,
"The Raven", poesia di Edgar Allan Poe che ci fa tornare alle indimenticate melodie di "A Dead Poem",
"The Voice of the Universe", la più inquietante del lotto, sono capolavori di intuizioni, arrangiamento e pura emozione, sono testimonianza di una abilità compositiva che a tanti anni di distanza rimane sempre altissima ed inarrivabile per la maggior parte di chi si cimenta con il metal estremo.
Si, perché nonostante qui non si viaggi ad alte velocità, nonostante qui ci sia tanta melodia, nonostante i musicisti sappiano suonare alla grande (
Sakis a mio avviso è uno dei chitarristi ritmici più bravi che possiate ascoltare nel mondo del metal), nonostante l'album goda di una "mega" produzione, nonostante tutto, dunque,
"The Heretics" è un album estremo.
Estremo nella sua essenza e nella sua anima.
Estremo nel suo sincero sdegno per ogni cosa imposta.
Estremo nella sua affascinante semplicità.
Da amante dei
Rotting Christ, non posso esimermi dal chiudere con una considerazione che, anche in redazione, tutti si aspettano da me:
disco dell'anno.Those who can make you believe absurdities, can make you commit atrocities