“Solens Vemod” è stato un grande debut per
Eric Grahn, un album intenso e dalle mille sfaccettature, tra le quali emergeva chiaramente quella estrema, ciononostante l’artista svedese si era lasciato aperte parecchie porte, una di queste, quella dell’evoluzione intelligente, ha partorito il nuovo
“Jord Och Aska” (Terra e Cenere) e sin dal primo ascolto è stato un qualcosa di shockante e stucchevole, senza per questo essere una delusione, anzi, dapprima mi ha spiazzato e lasciato interdetto per poi far aumentare sempre più in me la voglia di ascoltarlo ancora e ancora, senza sosta, tanta era la paura di essermi perso qualcosa, di aver lasciato per strada una sfumatura melodica, piuttosto che un passaggio atmosferico … Un’immersione totale in un album come difficilmente mi era successo negli ultimi tempi,
Wallfahrer a parte, ma loro sono un mondo parallelo per me … L’album è davvero “speciale” perché riparte da tutti gli elementi presenti nel debut ma li eleva in maniera spaventosa, se
“Solens Vemod” era “solo l’inizio” questo
“Jord Och Aska” è già l’album della maturità e della svolta al tempo stesso. Prendete le parti vocali che precedentemente erano quasi solo estreme, in
“Jord Och Aska” riescono a toccare uno spettro molto più ampio che va dallo screming alle clean vocals passando per un approccio più doom oriented, per finire con dei sussurri. In alcuni momenti della magnifica opener
“Att Sväva över Vidderna” mi hanno ricordato i grandissimi
A Floak Named Murder, grazie alla loro capacità di saper costruire dei chiaro scuro musicali ed emozionali mai banali o forzati, ma che sembrano essere la naturale evoluzione l’uno dell’altro, come le fasi della vita …
“Jord Och Aska” mette in mostra anche un gusto sopraffino negli arrangiamenti come testimoniano gli archi strappalacrime e fortemente emozionali della conclusiva
“Sänk Mig I Tystnad” dove si raggiungono livelli di estasi musicale difficilmente pensabili. Quest’opera (magna), oltre a contenere in se i germi della genialità del suo creatore, ha anche uno spettro di influenze musicali tali, da poterci far parlare tranquillamente di “prog extreme album”, dove il termine “progressivo” mai come in questo caso, assume il significato di “andare oltre, confrontarsi con se stessi e osare fino al raggiungimento del risultato finale” . Un plauso ulteriore va a David Ekevarn, che con il suo drumming, potente, fantasioso e mai invasivo, ha saputo dare una marcia in più a tutte le composizioni, facendo definitivamente dimenticare la drum machine del debut. Indietro da questo capolavoro non si potrà tornare, dove si andrà non è dato sapere vista l’incredibile maturazione avvenuta in soli tre anni, certamente Eric non si riposerà sugli allori, ma solo il tempo potrà dirci … Se avrete la voglia di spingervi oltre sarete ricompensati, perché la voglia di osare ha trionfato ancora … Gemma unica