Difficile non immaginare, per chi sceglie
Anno Mundi come denominazione collettiva, una profonda devozione per i Black Sabbath, ma è sufficiente anche solo un ascolto di “
Rock in a danger zone” (pubblicato esclusivamente in
Lp, avvolto da una suggestiva cornice grafica …) per rendersi conto che i nostri non possono in alcun modo essere accomunati ai tanti epigoni dei suddetti maestri di
Birmingham, magari di quelli che credono che la ripetizione ad oltranza di un
mid-tempo greve e “ferale” basti a realizzare un perfetto esempio di metallo pernicioso.
La combinazione tra elementi
doom,
epic,
hard-rock e
prog riecheggia in maniera piuttosto felice nell’opera in questione grazie all’ispirata attitudine di musicisti dall’estrazione artistica eterogenea, capaci di amalgamare le loro personalità in un’entità sonora abbastanza mutevole e variegata, ricca di
pathos in tutte le sue diverse manifestazioni.
I membri fondatori
Alessio Secondini Morelli e
Gianluca Livi sembrano, infatti, aver trovato in
Mattia Liberati e
Flavio Gonnellini (entrambi provenienti dagli ottimi Ingranaggi della Valle) e in
Federico "Freddy Rising" Giuntoli (un veterano nella scena capitolina, attivo, tra l’altro, con i Martiria di “
Roma S.P.Q.R.”) i
partner idonei all’edificazione di un suono che pur abbeverandosi copiosamente alla fonte della magniloquente epicità e del travaglio ancestrale, si affida al contempo alla forza trainante del
rock duro più pragmatico e, soprattutto, a una serie di piccole progressioni che ne distillano le prospettive maggiormente “avventurose”, in un percorso espressivo verosimilmente non ancora del tutto compiuto e tuttavia già molto intrigante e promettente.
Atomic Rooster, Uriah Heep , Rainbow e Warhorse sono quindi i nomi da citare, assieme a quello degli imprescindibili
Sabs, allo scopo di fornire al lettore qualche utile indicazione orientativa, avvisandolo però, che l’
intro western “
In the saloon” e “
Blackfoot”, doveroso tributo alla sottovalutata
southern-rock band americana, rappresentano solo una delle sfumature dell’albo.
Con “
Megas Alexandros”, dedicato ad
Alessandro Magno, il clima s’impregna di nero e lucido acciaio e di saghe leggendarie (alla maniera di certe cose dei Martiria), per poi, dopo le brevi digressioni cosmiche dello strumentale “
Dark matter (Nibiru’s orbit)”, esplodere in tutta la sua carica evocativa in “
Searching the faith”, un monolite scolpito dai
riff incisivi di
Secondini Morelli e dalla melodrammatica laringe del cerimoniere
Giuntoli.
Il fugace squarcio pianistico “
Tribute to Erich Zann” annuncia il gioiello
hard-doom-prog “
Pending trial”, un brano che rivela le migliori qualità creative della
band e i suoi possibili sviluppi espressivi, mentre “
Fanfare”, solenne e “asciugata” trascrizione dei Kiss di “
Music from the elder”, esibisce ancora una volta la cultura e la competenza non banali degli
Anno Mundi.
Il lungo
medley dal vivo (registrato nel settembre del 2014 al
RoMetal della
Città Eterna) che chiude il programma, comprendente quattro brani tratti dall’esordio del gruppo (“
Cloister graveyard in the snow”), consente, infine, di comprendere ancora meglio il costante
iter evolutivo di una formazione strenuamente impegnata a trasportare formule stilistiche ampiamente consolidate verso cangianti orizzonti musicali … non rimane che sostenerli in questa valorosa impresa.