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Last In Line e inevitabilmente pensi a
Dio (
Ronnie James,
obviously …), a quando eri “giovane & bello” (
beh, insomma … se sulla prima parte della locuzione non ci sono dubbi, sulla seconda qualcuno avrebbe certamente qualcosa da ridire …) e le leggende del
rock diventavano tali o consolidavano il loro ruolo a suon di capolavori.
E invece no … anche se i presupposti di questo gruppo erano fatalmente legati alle gesta di uno dei cantanti più seminali e straordinari dell’intera scena, già il suo debutto “
Heavy crown” era riuscito a non apparire eccessivamente “devoto” e calligrafico, orientando il proprio
focus espressivo più sul presente che sul passato.
Oggi che
Vinny Appice,
Vivian Campbell e
Andrew Freeman (reduce dalla brillante collaborazione con
Mike “The Genius” Slamer nei Devil’s Hand), affiancati (dopo la prematura dipartita di
Jimmy Bain) da un altro veterano come
Phil Soussan, arrivano al secondo
album, l’impressione è che lo spettro sonoro e l’approccio alla materia si siano ulteriormente ampliati, spaziando dall’
hard “tradizionale” fino ai confini del
radio rock contemporaneo di Black Stone Cherry e Alter Bridge.
Accade così, che in “
II” (ottimamente prodotto ancora una volta da
Jeff Pilson), pur rimanendo intatto il nobile
trademark vocazionale dei suoi autori, sia anche evidente la loro voglia di non “abusarne”, nel tentativo di conferire a un suono “immortale” varie prospettive evolutive.
Una scrittura matura e priva di autocompiacimento s’interseca dunque con una competenza esecutiva e un’esperienza difficilmente battibili, all’interno di un disco edificato su uno splendido singolo istantaneo e pulsante, "
Landslide”, e poi innervato da brani striscianti e poderosi come “
Black out the sun” e "
Give up the ghost”, dove, a tratti, affiora lo “spettro” degli indimenticati Soundgarden.
“
Gods and tyrants” dimostra che si può ancora ammirare con profitto l’arte immarcescibile dei Led Zeppelin senza scadere nella smodata venerazione, “
Year of the gun” e “
Electrified” che una vigorosa accelerata e un vorticoso
guitar-work sanno far salire l’adrenalina e “
The unknown” che una bella melodia intinta di psichedelia (un po’ alla maniera di certi Jane’s Addiction) può ancora cagionare imperiose ondate di appagamento
cardio-uditivo.
L’
hard-rock blues più canonico di “
Sword from the stone” e “
Love and war” piace senza esaltare, mentre con la schizofrenia di “
False flag” e il fascino vibrante di “
The light” (la preziosa lezione degli
Zeps si fa nuovamente sentire …) il programma riprende immediatamente quota, per una conclusione in crescendo.
“
II” condensa cinquantadue minuti di eccellente musica
hard-rock, non eccessivamente “nostalgica”, abbastanza variegata e parecchio coinvolgente, e anche se i
Last In Line sono una
band già molto vicina alle soglie dell’eccellenza, è mia opinione che, proseguendo nell’attuale intrigante percorso artistico, ci sia ancora spazio per taluni margini di miglioramento … nell’attesa di poterlo verificare, lode a chi, pur legittimato ad accamparne qualche “diritto”, ha scelto di non rimanere imprigionato dalla storia del genere.