Disperato.
Melanconico.
Freddo.
Black Metal.
Questo è l'esordio omonimo dei polacchi
Ashes.
Quattro brani perfetti.
Quattro brani che "trasudano" Burzum e Norvegia anni '90 da ogni nota, da ogni melodia, da ogni intreccio di chitarra, da ogni colpo di rullante.
Pura e semplice nostalgia?
Può anche essere, ma, in fondo, ci importa?
Questa, almeno per chi scrive, è musica senza tempo, è arte oscura in cui perdersi e grazie alla quale la pelle si increspa di emozione, è puro perdersi nel gelo di un bosco, è un viaggio onirico dentro il nero, dentro il vuoto, verso quello che di noi non vogliamo sapere.
Gli
Ashes non sono di questa epoca, e forse non lo sono di nessuna... qualcuno direbbe che non sono mai nati... ma, di certo, la loro musica, in fondo semplice, è piena di pathos e di antica rabbia, perché essa è espressione primordiale di vera attitudine al vero nero.
Qui dentro tutto è perfetto: tempi cadenzati quando serve, accelerazioni laceranti, voce rabbiosa alla Mgla, riffing minimale ed ispiratissimo, una generale sensazione di dolore, melodie clamorose, tutto è dove dovrebbe essere, tutto è dove sempre avrebbe dovuto essere.
Burzum ormai è storia.
Gli
Ashes potrebbero farla.
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