Era da un po’ di tempo che non sentivo parlare di
Roy Z, abile musicista, compositore e produttore (noto in particolare per aver contribuito alla “resurrezione” metallica di
Bruce Dickinson e
Rob Halford) e questo suo nuovo progetto, targato
Frontiers Music e denominato
West Bound, mi consente di affrontare (nuovamente, in realtà …) un tema annoso e sempre piuttosto attuale.
Ancora una volta, in “
Volume I”, si consuma la saga devozionale di maestri del calibro di Led Zeppelin, Whitesnake e Rainbow, ponendo il
rockofilo di fronte all’ennesimo dubbio di carattere “morale” … è giusto avvalorare questo tipo di operazioni? O sarebbe forse meglio rispolverare i “classici” senza curarsi di tutti questi emuli?
Ovviamente la questione è controversa e personalmente, pur rammaricandomi un po’ per la diffusa mancanza di “creatività”, non mi considero un oppositore a priori di tali circostanze.
Il problema, semmai, è saper distinguere il semplice riciclaggio dal tributo autentico, quello, cioè che grazie a un indispensabile apporto “caratteriale”, può trasformare l’enorme debito di riconoscenza nei confronti di un suono immortale in un evento artistico efficace e propositivo.
E allora diciamo che è possibile collocare i
West Bound tra quest’ultima categoria di discepoli, capaci di evitare il fastidioso effetto parodia rimpiazzandolo con un’innata dose di buongusto compositivo e un’evidente credibilità d’intenti.
Un approccio che può ricordare gente come Blue Murder, Great White, Tangier, Burning Rain e Lynch Mob, e scoprire che la voce del gruppo, nonché principale
partner in crime del chitarrista americano, è
Chas West (Resurreciton Kings, ex-Bonham e altresì proprio collaboratore del favoloso
George Lynch nella sua
band post-Dokken …) non può far altro che rassicurare tutti quelli che hanno a cuore queste immarcescibili sonorità e che sono consapevoli di quanto sia importante il ruolo del
vocalist in siffatte situazioni.
Coadiuvati da eccellenti “gregari”, i nostri sfornano un albo di prim’ordine, inaugurato da una “
Never surrender” che riporta immediatamente la mente al 1987, anno in cui un certo
Serpente Bianco decise di contaminare la purezza dell’
hard-rock blues con le cromature del
class-metal.
In “
Dance of life” è lo spirito primigenio dei Led Zeppelin a conquistare il proscenio, ma l’evocazione è attuata attraverso una certa eleganza e se “
Ain't gonna drown” è un numero di
hard-rock spigliato e screziato di psichedeila, “
Beautiful dream”, aggiunge alle suggestioni d’ascolto il primo
Plant solista, in uno
slow dalla notevole presa emotiva.
Con “
Nothing” tocca ai Rainbow essere chiamati in causa senza scadere nel ridicolo, mentre “
Roll the bones” cita addirittura certi Judas Priest, immersi in un clima gradevolmente cupo e incombente.
Brandelli dei Whitesnake più romantici ed enfatici si scorgono pure in “
On my own”, “
Keeper of the flame” aumenta il coefficiente energetico del
sound (ricordando qualcosa dei The Cult) e “
Turn to you” è la vera, immancabile,
ballad del programma, risolta con bello stile dai nostri.
Le melodie arrembanti di “
No room for sympathy” (tra Dio e Van Halen) fungono da preludio a un’eccellente “
Traveller”, che conquista immediatamente per la sua andatura magnetica e maestosa, inscenando un’altra commemorazione parecchio riuscita dell’
Arcobaleno più famoso del
rock.
In un panorama musicale congestionato e, non solo da oggi, contraddistinto da ben pochi innovatori, la vera “sfida” diventa riconoscere chi è in grado di “resuscitare” il
Mito con autenticità e temperamento … i
West Bound, in questo senso, mi sembrano meritevoli di attenzione e sostegno, auspicando in un “
Volume II” in cui la “canzone”, pur rimanendo sostanzialmente “la stessa”, sappia rigenerarsi ulteriormente nei settori freschezza e forza espressiva.