Primo ascolto:
voto
7(opera tanto mastodontica quanto prolissa e dispersiva)
Secondo ascolto:
voto
7,5(un
mare magnum in cui molte ottime idee risultano inquinate da altre meno buone)
Terzo e quarto ascolto:
voto
8(
Devin ispirato come non come non si sentiva da tempo,
top album facile, ad un passo dal capolavoro)
Quinto ascolto e successivi:
8,5?
(capolavoro e disco dell'anno?)
Mmmh, ancora no: dopo svariati passaggi in cuffia non mi reputo ancora in grado di sbilanciarmi in modo lapidario su "
Empath",
platter ricco, denso, complesso e sfaccettato al punto da richiedere settimane e settimane per essere assimilato appieno. E se questa affermazione dovesse sembrarvi iperbolica, sappiate che mi sono tenuto stretto.
Ammetto col massimo candore intellettuale la mia inadeguatezza a disquisire di un'esperienza in note che deve necessariamente esser vissuta. Sviscerarla nelle sue innumerevoli minuzie significa, per quel che mi riguarda, svilirne la portata e rovinare la sorpresa.
"
Empath", esattamente come i migliori dischi di
Townsend (e come altri indimenticabili album della storia del
prog), possiede davvero la dote di catapultare l'ascoltatore in un'altra dimensione.
Chi voglia ancora cimentarsi con le
lyrics, e non si senta troppo vecchio per fabbricare pellicole mentali, avrà la possibilità di seguire le peripezie di un novello
Robinson Crusoe alle prese con bizzarre creature e dilemmi interiori alimentati dallo stato di solitudine cui giocoforza il naufrago è costretto.
Devin dipinge il canovaccio del
concept con pennellate vivide, decise, utilizzando l’intera palette dei colori, non ponendosi limitazione alcuna.
Il che, d’altra parte, è esattamente ciò che accade sotto il profilo della direzione creativa -con ogni probabilità resa ancor più ardimentosa dalla collaborazione col produttore artistico
Mike Keneally-.
Sarebbe ingenuo stupirsi nel 2019 dei livelli di pazzia che il canadese riesce a lambire; nondimeno, la follia può esser lucida, così come si possono rinvenire profili di organizzazione nel caos.
Per nostra fortuna, è proprio il caso di “
Empath”.
Ce ne rallegriamo, dal momento che un disco
monstre dallo spettro sonoro così sconfinato, in cui si miscelano senza soluzione di continuità
soul,
prog, elettronica,
ambient,
folk,
cyber thrash,
gospel,
musical,
death e
rock sinfonico, sarebbe risultato indigeribile senza una visione globale illuminata.
Invece, le composizioni acquisiscono senso e coesione ad ogni passaggio nello stereo, tanto che l’inevitabile spaesamento iniziale si dissiperà minuto dopo minuto per lasciar spazio a meraviglia ed ammirazione per un artista dal talento sconfinato.
Benché sia pleonastico scriverlo, non si può soprassedere sulle delizie tecniche del neonato di casa
Townsend, che si fregia di suoni spaventosi, di arrangiamenti maniacali, di sbalorditiva perizia esecutiva, di comparsate (cito
ex multis Steve Vai,
Samus Paulicelli dei
Decrepit Birth,
Chad Kroeger e la
habituée Anneke van Giersbergen) capaci di fornire sfumature ulteriori ad un affresco sonico abbacinante.
Poi, certo, si potrebbero metter in risalto l’
incipit dell’immane
suite “
Singularity”, che mi ha rimembrato la gloriosa “
Deep Peace”, la “
Juular”-esca trottola imbizzarrita a titolo “
Hear Me”, la magniloquenza dei cori di “
Spirits Will Collide”, le delizie vocali di “
Why”… ma l’elenco potrebbe protrarsi all’infinito, e si finirebbe comunque per omettere qualche passaggio altrettanto memorabile.
Ciò che conta, a mio umile avviso, è che dopo alcune uscite in cui genio e qualità latitavano, il nostro
Devin sia tornato in carreggiata da par suo.
"
Empath" non piacerà a tutti, esaspererà i più impazienti, lascerà perplessi i meno
open minded ed i propugnatori dell’asciuttezza in musica... eppure, per chi vorrà concedergli tempo, attenzione e concentrazione, saprà regalare grandinate di emozioni contrastanti e diverse ad ogni ascolto.
Voi conoscete tanti musicisti capaci di alternare in modo così organico
grandeur epica e raccolto intimismo, oppure in grado di suscitare un'allegria quasi euforica un secondo, per poi commuovere sino alle lacrime quello successivo?
Io no, ed anche per questo nutro l’intima convinzione che quell'
8 in pagella sia destinato a crescere ulteriormente nei mesi a venire.
Se poi sto stringendo tra le mani l'album Re del 2019 non lo so ancora; un posto d'onore nella
top ten, in ogni caso, è riservato.