Da fedele estimatore dei
Burning Rain attendevo con ansia e curiosità il loro ritorno discografico e se per certi versi l’ascolto di “
Face the music” può riproporre le considerazioni già espresse di recente, ad esempio, per i compagni di etichetta West Bound, in questo caso è opportuno aggiungere alla questione un altro elemento piuttosto scontato e tuttavia spesso assolutamente decisivo.
L’arcano fattore si chiama “esperienza” e fa sì che qui la palese devozione per Whitesnake, Led Zeppelin e Aerosmith diventi pienamente appagante e priva di manierismi, aggiungendosi a vocazione e a un imprescindibile contributo temperamentale.
Del resto, è sufficiente scorrere il ricchissimo
curriculum di
Doug Aldrich (Lion, Bad Moon Rising, Hurricane Whitesnake, … fino agli attuali The Dead Daisies) per rendersi conto di quanto questi suoni gli siano congeniali e di come li sappia trattare con magnifica e innata “sensibilità”, coadiuvato nell’impresa dalla risoluta ugola di
Keith St. John, uno che si è “fatto le ossa” nei Medicine Wheel, approdando poi addirittura (
ahimè brevemente …) alla corte di un mito vero come
Ronnie Montrose.
Con una nuova sezione ritmica anch’essa alquanto “smaliziata” (
Blas Elias arriva dagli Slaughter e
Brad Lang dagli Y&T), il gruppo fornisce agli appassionati del settore una manciata di canzoni vibranti, generose dispensatrici di
feeling, sintesi di un
sound per nulla “rivoluzionario” eppure pieno, “rotondo”, di enorme presa.
Fa sorridere che, in tale contesto artistico, l’atto iniziale dell’albo si chiami proprio “
Revolution”, ma sono anche certo che fin dal primo contatto saranno ben altri i sentimenti che accenderanno il vostro apparato
cardio-uditivo, soggiogato da una superba prova di pulsante
hard-rock blues.
Il tocco psichedelico di “
Lorelei” risveglierà nei fans di Bad Moon Rising e Soundgarden emozioni sopite e mai del tutto rimosse, “
Nasty hustle” è una deflagrazione di note in pieno ardore Whitesnake/Aerosmith-
iano e “
Midnight train” avvolge l’astante nelle spire della sua ruvida e sensuale essenza espressiva, un po’ alla maniera di certi Dirty White Boys.
“
Shelter” è il “rifugio” ideale per i tanti “nostalgici” degli immarcescibili Led Zeppelin, mentre la
title-track del disco e “
Beautiful road” metteranno a tacere tutti quelli che sostengono che una “celebrazione”, nello specifico dei Whitesnake, non può arrivare (quasi) a equivalere l’originale.
La bruciante tensione emotiva prodotta da "
Hit and run” è qualcosa che difficilmente si riesce a “simulare” e sebbene la
ballatona notturna “
If it's love” non si possa esattamente definire un esempio di “originalità” (nemmeno nel titolo …), sfido chiunque apprezzi il genere a non rimanerne almeno un po’ infatuato.
La voluttuosa e adescante “
Hideaway” vede i Rolling Stones aggregarsi alla nobile compagnia dei numi tutelari di una
band che con “
Since I'm loving you” torna a omaggiare con sapiente sfrontatezza e talento l’arte immortale dei Led Zeppelin, rivelando i motivi che hanno condotto
St. John fino alla
line-up dei “nuovi” Kingdom Come.
Niente di nuovo sotto il sole dell’
hard-rock blues, che però in questo caso brilla maestoso allo
zenit del firmamento musicale contemporaneo, riscaldando il cuore di chi ama profondamente la tradizione e perciò mal sopporta la retorica e le contraffazioni povere di sostanza e autenticità.