Lo scorso anno è stato indubbiamente buono per il black metal. Una bella mole di uscite interessanti ha senz’altro fatto la felicità di noi cultori del genere che pressoché quotidianamente andiamo in cerca di nuovo materiale di valore da poter scoprire. Nello specifico devo dire di essere rimasto particolarmente colpito da “
Beneath.Below.Behold” dei tedeschi (e quasi sconosciuti)
Antlers: una band giunta al secondo album in maniera assolutamente entusiasmante. Dopo aver scrutato nel nietzscheano abisso nel 2015, l’abisso gli deve aver tornato il favore: se infatti la prima prova in studio si caratterizzava già per un ottimo songwriting, una considerevole dose di personalità e dei pezzi trascinanti ed efficaci nonostante la mestizia che facevano scaturire, il disco del 2018 riesce ad andare addirittura oltre facendo sprofondare l’ascoltatore in un abisso costituito da un black metal denso ed ammaliante, ricco di melodia ma anche di brutalità. Un disco immediatamente apprezzabile ma che rende al meglio ascolto dopo ascolto. Insomma, senza tirarla ulteriormente per le lunghe, uno dei migliori dischi black metal dell’ultimo decennio, a parere di chi scrive.
Così mi sono chiesto: album del genere sono rari, qual è stato l’ultimo disco black metal che ho apprezzato in questo modo? Qual è stato, negli ultimi anni, un altro grande disco black metal come quello appena descritto?
La risposta è certamente “
The Dreaming I”, degli americani
Akhlys, guidati dall’ottimo
Naas Alcameth, già noto per interessanti progetti come
Bestia Arcana e
Nightbringer.
Acli, da non confondere con il patronato di estrazione cattolica, è in greco la nebbia, o la tenebra, la divinità dell’autocommiserazione, colei che appare ai morenti prima di spirare e che esiste da sempre, da prima della Necessità, colei che presiede alla notte eterna che precede il cosmo e che lo succederà quando esso si dissolverà. È descritta da Esiodo come una terribile vecchiaccia magra, sporca, sanguinante, col naso colante, avvolta da una coltre scura e seguita da pianti e singhiozzi.
Akhlys è, per quanto mi riguarda, la creatura più riuscita del nostro, quella in cui tutti gli elementi sono messi meglio a fuoco e si esprimono al massimo del loro potenziale. Dopo un disco di terrificante dark ambient, “
Supplication” (2009), del quale consiglio l’ascolto per riuscire a capire davvero quanto l’evocatività di un’opera d’arte possa letteralmente terrorizzare chi ne fruisce, Alcameth, per il secondo lavoro della sua creatura, opta per un sound che si potrebbe indicare come l’esatta trasposizione di “Supplication” in chiave black metal: nasce così “The Dreaming I”, concepito e realizzato per essere un incubo, uno di quegli incubi dai quali tenti di scappare in tutti i modi senza riuscirci. Vorrei essere preso alla lettera: ciò che Alcameth produce sotto questo monicker è realmente terrificante. Non si tratta di qualcosa di meramente inquietante ma di una proposta musicale la cui fruizione, nel momento sbagliato, non è da escludere possa dimostrare una capacità di suggestione realmente disturbante.
Anche la produzione dell’album è assolutamente perfetta per amplificare l’evocatività dei brani composti dal combo: genuina ma estremamente curata, permette di far risaltare alla perfezione le (dis)armonie tra le chitarre senza mai ricorrere a registrazioni lo-fi che in questa specifica sede avrebbero attenuato la carica emotiva distruttiva delle composizioni proposte. I synth e gli inserti ambient sono solo il coronamento della galleria di orrori evocata dagli Akhlys: al centro di tutto sta un ammaliante lavoro di chitarra capace, grazie sia ad ottimi riff in tremolo che ad arpeggi atmosferici, di dare corpo ad una sensazione di frenesia, angoscia ed imminente tragedia che, da un lato, non può che suscitare nell’ascoltatore le peggiori delle sensazioni ma, dall’altro, gli permette in modo quasi perverso di goderne. Tutto il disco si regge su un equilibrio miracoloso, ma perfetto, tra Mostruoso e Sublime, tra disperazione ed esaltazione, tra insostenibilità e godimento.
Menzione d’obbligo per la prova vocale di Alcameth che con un timbro acuto e abrasivo all’inverosimile riesce a dare quel tocco in più ad un disco già di per sé ben al di sopra della media delle uscite del genere (sia per qualità che per proposta) ma che con quello scream lacerante e demoniaco dà prova di un’ispirazione che trascende la mera capacità di suonare e interpretare un genere e rivela una vocazione all’oscurità, al caos, che ben pochi possono vantare di avere ancora.
La prova dietro le pelli del misterioso Ain fa il resto: ci sono una certa varietà e un certo gusto, bisogna dire, e anche qualche momento più avvolgente retto da un bel tappeto di doppia cassa… Ma nei momenti in cui domina la violenza cieca delle raffiche di blast beat, ecco, è lì che si raggiunge l’esaltazione più pura.
Si tratta, infine, di un disco terrificante sin dalla copertina che – come il lettore avrà intuito – rinvia direttamente alla divinità a cui si riferisce. Un disco che va considerato come un classico, la cui oscura atmosfera onirica vi catapulterà nel vivo di un suono unico che, certo, mostra la sua storia e le sue influenze, ma non potrete confondere con nessun altro.
Che il Black metal sia entrato in una fase calante, o che sia addirittura morto, è una sciocchezza che un disco come questo spazza via con una maligna risata.
Riuscire a capire come un’opera del genere possa essere fonte di godimento è qualcosa che solo chi è disposto a seguire il black metal, finanche nei suoi anfratti più reconditi, diventandone un discepolo, un iniziato, può veramente arrivare ad afferrare.