L’Olanda è una terra che al metal estremo, soprattutto death metal ha consegnato gruppi entrati a viva forza nella storia del genere anche staccandosi dai padri fondatori americani.
Uno dei questi nomi anche se non conosciutissimo rispetto ai padrini
Asphyx,
Sinister e
Pestilence, sono gli
Antropomorphia.
Il gruppo guidato dal chitarrista e singer
Ferry Damen é un concentrato di marciume, malignità e qualche azzeccato barlume melodico.
Il nuovo album prende subito alla gola con la titletrack, brano dal riffing che profuma di marcio death metal dissonante.
Batteria precisa sia nelle sfuriate che nelle parti cadenzate e il nostro
ferry che ha un growl profondo ma che nel chorus rende il brano persino “cantabile” senza per questo sottrarre ferocia e odio puro.
“
Requiem diabolica”, é un brano che fa della distruzione ragionata una motivazione fondante.
Perché per impattare non bisogna per forza correre, ma dosare come fan no questi olandesi; brano sorretto da un riffing malsano, cadenzato per poi colpire con blast beats e qualche melodia dissonante piazzata fra capo e collo.
Nel mezzo una parentesi lentissima, doomy e soffocante che da un’atmosfera maligna come un boa constrictor, per poi devastare con un blast beats seguito da un solo breve e melodico.
“
Cathedral ov tombs”, é una delle ciliegine speciali che la band ha confezionato per questo album.
Brano che parte cadenzato con un riffing che é pura sozzeria death metal, con chitarre grattate che è un piacere.
Il growl del singer é perfetto, profondo ma comprensibile; la sezione ritmica offre cambi di tempo repentini e grande capacità nell’offrire varietà e spessore.
Per fare ancora un esempio, sentitevi il solo melodico in armonizzazione su un tappeto ritmico dissonante e ditemi voi se non è un capolavoro sto brano.
“
Wailing chorus ov the damned”, altra perla tinta di nero; arpeggio dissonante e malsano, batteria lenta e atmosfera maligna.
Tutto fa sembrare che il brano sia solo strumentale, e invece ecco l’apertura potenziarsi di elettricità e marciume con rullate pesantissime e una sfuriata quasi death/black.
Il brano é un up tempo cadenzato con un growl profondissimo e un riffing maligno che resta nelle ossa.
“
Luciferian tempest”, ha una partenza devastante anche se non dettata da pura velocità.
Ci sono sfuriate ma anche cambi di tempo cadenzati sorretti da riffing serrati di pura scuola death.
Ma ecco che gli olandesi calano l’asso con la partecipazione della grande
Farida Lemouchi (
The Devil’s Blood), che dona pathos, atmosfera e spessore.
Un disco che é un manifesto nerissimo; che fa capire a molti che si può fare qualche esperimento melodico, ma restando nel solco della tradizione e rimanendo coerenti con la propria storia, piuttosto che perdersi per rincorrere mercati modaioli, a buon intenditor…
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